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Condanna definitiva: i fratelli Scalamandré vanno in carcere per l’omicidio del padre violento

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La Corte di Cassazione

La Cassazione rigetta l’ultimo ricorso: Alessio (12 anni) e Simone (6 anni e 2 mesi) dovranno scontare la pena dopo una lunga battaglia giudiziaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile l’ultimo ricorso presentato dalla difesa, rendendo definitiva la condanna di Alessio e Simone Scalamandré per l’omicidio del padre Pasquale, avvenuto il 10 agosto 2020 nell’appartamento di famiglia a San Biagio, periferia di Genova. Le pene confermate sono di 12 anni per Alessio e di 6 anni e 2 mesi per Simone.

L’ordine di esecuzione e l’ingresso in carcere

Dopo anni di processi e ricorsi, la Procura Generale di Milano emetterà a breve l’ordine per l’esecuzione della pena. Alessio, che ha già trascorso circa cinque anni ai domiciliari, dovrà entrare in carcere ma potrà chiedere misure alternative come la semi-libertà. Simone, invece, che fino ad oggi viveva in libertà, dovrà scontare la sua pena in carcere, almeno per una parte prima di poter accedere a eventuali misure alternative.

I legali dei fratelli (Luca Rinaldi, Andrea Guido per Alessio; Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca per Simone) sperano che possano essere trasferiti nello stesso istituto, preferibilmente non a Marassi ma a Chiavari, dove le condizioni sono considerate più gestibili. Simone vorrebbe costituirsi proprio in quel carcere, ma la sua richiesta non potrà essere formalizzata senza l’ordine ufficiale di esecuzione.

Il contesto familiare: violenza, fuga, stress accumulato

I giudici hanno riconosciuto un “forte stress” accumulato dai due fratelli, scaturito da anni di pressioni e violenze da parte del padre. Secondo le motivazioni, quelle tensioni non erano episodiche: il padre avrebbe minacciato la madre con una pistola, creando un clima familiare che costrinse la donna a fuggire in Sardegna. Quel contesto è stato usato come leva difensiva: i legali sostenevano che il reato non fosse solo frutto di un impeto momentaneo, ma di una “provocazione per accumulo”, ovvero anni in cui i fratelli avrebbero subito eventi traumatici.

Il processo: dai 21 e 14 anni alla riduzione

Non è stata una strada semplice. In primo grado, Alessio e Simone erano stati condannati rispettivamente a 21 e 14 anni di reclusione. Dopo vari ricorsi e rinvii, la Cassazione ha annullato una sentenza d’appello, richiedendo di riconsiderare l’attenuante della provocazione e il peso delle attenuanti generiche. Nel nuovo processo d’appello, la Corte d’Assise di Milano ha effettivamente ridotto le condanne a 12 anni per Alessio e 6 anni e 2 mesi per Simone, accogliendo in parte le richieste della difesa.

La brutalità del reato e la ricostruzione dell’atto

Il parricidio è avvenuto al culmine di una lite: Pasquale, il padre, aveva preteso che Alessio ritirasse una denuncia nei suoi confronti, ma la situazione è degenerata. Nel violento scontro, secondo quanto emerso durante il processo, Alessio avrebbe inflitto colpi così gravi da “sfondare il cranio” del padre, segno di una furia estrema. Tuttavia, per la Cassazione lo stato d’ira non sarebbe esploso casualmente ma avrebbe radici profonde: non un gesto premeditato di vendetta, ma una reazione esasperata a un contesto di abuse e provocazioni prolungate.

Il riconoscimento giuridico della “provocazione da accumulo”

Nel motivare la riduzione delle pene, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha fatto esplicito riferimento a una “provocazione da accumulo”: non un solo episodio ma una lunga storia di tensioni, minacce e violenza. Questo concetto ha rappresentato un punto cruciale nel processo: la difesa aveva sostenuto che il padre non solo aveva violato il divieto di avvicinamento, ma aveva anche minacciato i figli per anni, creando una pressione psicologica crescente.

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