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Carlo Felice: Don Giovanni, el burlador

Carlo Felice: Don Giovanni, el burlador
Carlo Felice: Don Giovanni, el burlador

Il teatro Carlo Felice ha aperto la stagione lirica con Don Giovanni (uno dei tre capolavori della maturità artistica di Wolfgang Amadeus Mozart (insieme a Le nozze di Figaro 1786, Così fan tutte 1790, tutti su abilissimi libretti di Lorenzo Da Ponte), rappresentato per la prima volta con  grande successo a Praga nell’ottobre del 1787. Un successo anche stavolta per il nostro teatro lirico, alla presenza di 1800 spettatori entusiasti, per la regia di Damiano Michieletto e le scene di Paolo Fantin.

 Il magnetismo della figura di don Giovanni ha colpito ancora, così come  il testo seicentesco per il teatro di Tirso de Molina, El burlator de Sevilla, ha affascinato da sempre, tanto da essere ripreso  prima dai comici della commedia dell’arte e in seguito da Molière, Byron, Grabble, Pushkin, Zorrilla, per citare i più noti. In realtà Tirso, che era un frate, aveva scritto l’opera con intenti morali, come appare dalla dannazione finale del protagonista: invece i successori non ebbero altro scopo che di divertire il pubblico con le varie e veloci avventure amorose  del nostro eroe, per colpirlo alla fine con la comparsa del convitato di pietra.

Il protagonista è una figura bieca che agisce  per  vincere su ogni divieto e  conquistare ad ogni costo. Inganna le donne con  lusinghe e promesse di matrimonio, non esita ad uccidere per raggiungere i propi scopi. Burlador, cioè libertino e ingannatore di femmine, a caccia di voluttà veloci e volgari, che gode di un momentaneo possesso di ogni tipo e genere di donna, senza neppure gioire della conquista, senza neppure palesare le sue qualità, la sua identità.  Don Giovanni è capace di fingere  sentimenti che gli sono sconosciuti, in quanto l’ipocrisia, secondo lui, è socialmente utile, serve a non far soffrire le vittime.

Libertà? Ma certo, purchè sia la sua: in qualche modo la sua concezione di libertà somiglia a quella della zingara Carmen.  Un libertino dalla parola fluente e convincente, un ostinato narciso che, incurante dei sentimenti e delle esigenze altrui, nonchè dei propri doveri, non vuole fermarsi e cambiare vita. E agisce sempre con grande sicurezza della vittoria, confidando nelle  mutevoli identità con cui appare agli altri: non sorprende, pertanto, l’autorità e il potere di convincimento, il fascino perverso che esercita su chi lo circonda e in particolare sulle donne, non sempre ostili verso di lui anche dopo aver scoperto l’inganno.

L’allestimento del Carlo Felice riprende la versione del Teatro La Fenice di Venezia: una  scena indovinata nella successione degli eventi,  una bella simbiosi tra la classicità dell’arredamento, i colori soffusi dell’epoca e la modernità delle pareti mobili dove il gioco delle luci contribuisce a creare le atmosfere.

Sul podio il direttore  tedesco Constantin Trinks  guida l’Orchestra e il Coro (diretto da Claudio Marino Moretti) del  Carlo Felice con competenza e un’ottima simbiosi con il palcoscenico: compito arduo, considerato che la musica di Mozart è ineguagliabile e immediatamente riconoscibile ma certamente di non facile esecuzione. A questo proposito piace ricordare che l’opera fu accolta tiepidamente a Vienna, l’anno dopo il debutto, dove Giuseppe II ebbe a dire che non era cibo per i denti dei viennesi, ma Mozart rispose “Lasciamo loro il tempo di masticarlo”!

 Il cast della prima si compone di Simone Alberghini (Don Giovanni), Desirée Rancatore (Donna Anna), Ian Koziara (Don Ottavio), Jennifer Holloway (Donna Elvira), Giulio Mastrototaro (Leporello), Mattia Denti (Il Commendatore), Alex Martini (Masetto) e Chiara Maria Fiorani (Zerlina). Tutti gli interpreti, Alberghini e Roncatore in primis, meritano una lode per come hanno saputo modulare le voci secondo i sentimenti da esprimere, all’altezza anche nella presenza scenica e nelle non facili e frequenti movimentazioni. La scena dell’orgia è forse sovraccarica, un filo stonata con la psicologia del protagonista, che appare lusingato non tanto dalla facilità della conquista quanto dalla propria abilità.

Bello quell’appoggiarsi alle pareti da lati opposti in contemporanea, una sorta di separè dei sentimenti, suggestivo l’attesissimo convitato di pietra che insegue in una poltrona mobile il protagonista spaventato e ostinato, nell’atmosfera di terrore che creano gli accordi in re minore, le modulazioni degli archi.

 L’opera, che già Mozart elaborò dopo il successo a Praga  per la ripresa a Vienna il 7 maggio 1788, viene messa in scena nella versione di Praga con l’aggiunta dell’aria KV 540a (Don Ottavio, «Dalla sua pace») e del recitativo e aria KV 540c (Donna Elvira, «Mi tradì quell’alma ingrata») dalla versione di Vienna.

Don Giovanni resta al Carlo Felice fino a domenica 12 ottobre: opera pregevole, da vedere, per la durata di quasi quattro ore, intervallo fra i due atti compreso. ELISA PRATO

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