Dai moli del Porto Antico ai vicoli più stretti dei caruggi, tre dominatrici raccontano le sessioni che non dimenticheranno mai.
Nel cuore stretto dei caruggi, tra ascensori che salgono a fatica e finestre sempre chiuse, c’è chi sceglie di spogliarsi non solo dei vestiti, ma anche del ruolo che indossa ogni giorno. Sono avvocati, professori, manager: uomini rispettati, ben vestiti, educati. Eppure, quando varcano la soglia di una Mistress, chiedono l’opposto di ciò che rappresentano.
Mistress Advisor — il portale di riferimento in Italia per chi cerca esperienze BDSM professionali — ha raccolto tre testimonianze dirette da dominatrici attive a Genova. Il filo rosso non è la fantasia sfrenata, ma qualcosa di più sottile: il bisogno di essere visti in modo diverso. A volte ignorati. A volte giudicati. A volte ridotti al silenzio. Senza urla, senza teatrini. Solo dinamiche mentali, costruite con precisione chirurgica.
Il sondaggio: 26 Mistress, decine di ruoli da scardinare
Mistress Advisor ha condotto, tra il 15 e il 28 maggio 2025, un sondaggio anonimo tramite questionario online inviato a tutte le dominatrici presenti sul portale e localizzate a Genova e provincia.
Hanno risposto 26 Mistress verificate a Genova, pari a oltre l’80% delle schede attive nell’area. Una sola domanda, potenzialmente esplosiva: «Qual è stata la richiesta più insolita o inaspettata che ti ha fatto un cliente?».
Le risposte, raccolte in forma testuale e archiviate su database interno, disegnano una mappa viva di paure, colpe e desideri sommersi: gag simbolici, ruoli teatrali, piccoli riti privati. Nessuna scena esplicita, ma un viaggio surreale nella mente umana che, spesso, solo una Mistress può aiutare a esplorare.
Il professore che voleva essere costretto al silenzio
Miss Laura, che riceve in un appartamento silenzioso tra le salite di Castelletto, racconta una richiesta che ancora oggi definisce “quasi filosofica nella sua semplicità”.
“Si è presentato in giacca, discreto, con un tono pacato e quasi troppo educato. Prima ancora di togliersi il cappotto, mi ha detto: ‘Parlo troppo. Non voglio più dire niente.’”
Era un professore universitario, abituato a parlare per ore, spesso senza essere contraddetto. Il suo desiderio, spiegato senza giri di parole, era quello di essere obbligato al silenzio. Non con una ball-gag, non con una benda, ma con il solo sguardo.
“Mi ha chiesto di essere fermato con autorità, ogni volta che apriva bocca. Voleva essere anticipato, zittito sul nascere. Come uno studente fuori posto, ma che non può lamentarsi.”
La sessione è stata breve, pulita, quasi priva di movimenti. Lui in ginocchio, ogni tanto provava a iniziare una frase. Bastava che lei si voltasse, lo fissasse, o sollevasse una mano. A quel punto, silenzio. Nessun rimprovero, nessuna punizione, solo l’imbarazzo.
“Non cercava dolore o umiliazione esplicita. Cercava il peso del non poter dire nulla. E infatti alla fine, non mi ha salutata. Ha fatto un piccolo cenno con la testa, si è rivestito in silenzio ed è uscito. Senza una parola. Proprio come voleva.”
Il medico che voleva essere rimproverato per l’assenza di empatia
Mistress Viola, che riceve in un appartamento minimale nella zona della Foce, racconta una sessione “che non aveva niente di fisico, ma un peso emotivo notevole”.
“Era un medico anestesista. Mi ha detto subito che non cercava nulla di ‘estremo’, ma voleva mettersi in una posizione opposta a quella che vive ogni giorno: quella in cui nessuno ti chiede come stai.”
La richiesta era chiara: essere trattato come un uomo freddo, distante, incapace di provare qualcosa. “Mi ha detto: ‘Tutti mi dicono che ho il controllo. Ma io non lo sento più.’”
Durante la sessione, Mistress Viola ha mantenuto un tono fermo, asciutto, quasi professionale. Nessun contatto, nessuna parola gentile. “Gli dicevo frasi secche, come ‘Non ascolti, reagisci e basta’, oppure ‘Sai solo spegnere le persone, mai accenderle’.”
Lui restava in piedi o seduto, in silenzio, accettando ogni parola come fosse un referto. Non ha mai chiesto di fermare nulla, né di cambiare tono.
“Alla fine ha solo detto: ‘È la prima volta che sento qualcosa senza toccare niente.’ Poi è rimasto lì, per qualche minuto, seduto, a guardare il vuoto.”
La sessione si è chiusa così, senza teatralità né gesti particolari. Solo con il suono lento di un respiro che, forse, per una volta, non era stato calcolato.
Il manager svizzero che pagava per non essere guardato
Mistress Eva, che riceve in un appartamento essenziale in zona centro, ricorda bene la richiesta di un manager di una nota multinazionale svizzera: “Non voleva essere toccato. Non voleva essere guardato. Voleva solo sparire.”
“È arrivato con modi formali, quasi da colloquio di lavoro. Ha pagato in anticipo, in silenzio, e mi ha detto solo una frase: ‘Quando entro lì dentro, non esisto più.’”
Lì dentro era la stanza. Dove lui, nudo, si inginocchiava in un angolo. E dove lei, per tutta la durata della sessione, lo ignorava completamente.
“Niente parole, niente sguardi, niente ordini. Solo la sua presenza messa in pausa. Diceva che nel suo lavoro prende decisioni ogni dieci minuti, è sempre osservato, sempre sotto pressione.”
L’unica regola era il silenzio. Lui restava lì, mentre lei leggeva, si muoveva, a volte usciva dalla stanza per lunghi minuti.
“Una volta gli ho chiesto: ‘Cosa succede se ti guardo?’ Mi ha risposto: ‘Torno a essere qualcuno. E oggi non voglio esserlo.’”
Alla fine della sessione, si rivestiva senza fiatare e usciva con un cenno quasi impercettibile. Nessun addio. Nessuna parola. Solo assenza.
“È uno dei pochi clienti che non voleva nulla. Ma che con quel nulla si sentiva, finalmente, in pace.”
Quando il controllo diventa un peso
A Genova, come altrove, il mondo BDSM non è fatto solo di corde e fruste. Per molti clienti, la vera richiesta è invisibile: smettere di essere chi sono ogni giorno. Non per trasgredire, ma per sospendere — anche solo per un’ora — la pressione del ruolo, dell’immagine, della performance continua.
Le Mistress intervistate raccontano scene silenziose, cariche di significato, dove il potere non si misura in decibel ma nella capacità di gestire assenze, vergogne, e desideri senza nome. In una città che non perdona le debolezze in pubblico, la dominazione privata diventa lo spazio in cui certe fragilità possono finalmente respirare.