Si è tornati a parlare oggi in aula dei reperti legati all’omicidio di Nada Cella, la segretaria uccisa a Chiavari nel maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, dove lavorava.
Al centro della nuova udienza, la scomparsa di un fermacarte in onice a forma di cilindro, parte di un set da scrivania appartenente allo studio del commercialista Marco Soracco, oggi imputato con l’accusa di favoreggiamento, mentre per l’omicidio è a processo Anna Lucia Cecere.
L’oggetto, ritenuto compatibile con alcune delle ferite riportate dalla vittima, era stato sequestrato nel 1996, perfettamente pulito e riposto in un armadio, poi restituito al proprietario nel 1997.
Quando il caso è stato riaperto nel 2021, gli investigatori hanno chiesto nuovamente il sequestro di alcuni oggetti in onice, ma Soracco ha dichiarato di non aver più il fermacarte, pur avendo conservato gli altri elementi dello stesso set.
A riferire l’assenza del fermacarte è stata la biologa della Polizia di Stato Daniela Scimmi, che ha partecipato alle nuove indagini genetiche. In aula ha spiegato come i campioni raccolti siano ormai in gran parte deteriorati o contaminati, rendendo difficile identificare con certezza i profili genetici.
Dal punto di vista medico-legale, è stato ascoltato il professor Francesco Ventura, oggi direttore dell’istituto di medicina legale di Genova, che ha ricostruito le lesioni riportate dalla vittima: un’aggressione particolarmente violenta, con numerosi colpi alla testa, forse iniziata all’ingresso e conclusasi nella stanza della giovane.
Ventura ha indicato due oggetti potenzialmente compatibili con le ferite: una pinzatrice e, appunto, il fermacarte in onice.
Secondo l’accusa, l’aggressore potrebbe aver usato inizialmente proprio quel fermacarte, poi abbandonato per servirsi della pinzatrice ritrovata sulla scrivania di Nada. Il mistero sull’arma del delitto resta però ancora aperto.