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A Genova si è svolto un incontro sull’arte della falconeria

A Genova si è svolto un incontro sull’arte della falconeria
SOS Animali-Falconeria e tutela rapaci-foto Linda Kaiser-GE220701_8821

L’incontro è stato organizzato da SOS Animali Selvatici ed Esotici. La parola all’esperto, il veterinario Marco Campolo

Finalmente, anche per parlare di animali da tutelare si ritorna in presenza e ci si incontra per discuterne.

L’Associazione onlus SOS Animali Selvatici ed Esotici ha organizzato, nel tardo pomeriggio di venerdì 1° luglio 2022, un incontro culturale sulla falconeria, ospitato nella bella Sala riunioni della sede del Club AIpino Italiano Sezione Ligure, in Galleria Mazzini a Genova.

Il tema è dei più intriganti e di grande attualità, perché tratta “L’arte della falconeria e il suo ruolo tra tutela ambientale dei rapaci, salvaguardia delle specie e utilità sociale”. Marina Abisso della Commissione TAM (Tutela Ambiente Montano) del CAI accoglie il pubblico, che segue gli interventi, partecipando attivamente con domande dirette allo svolgimento degli argomenti in oggetto.

A Genova si è svolto un incontro sull’arte della falconeria
SOS Animali-Falconeria e tutela rapaci-Campolo, Abisso, Iannaccone-foto Linda Kaiser

Falconeria: SOS Animali e la sua attività

La dottoressa veterinaria Maddalena Iannaccone introduce l’incontro. Non senza commozione ricorda il papà, mancato qualche mese prima, e il sogno che aveva in comune con lui, proprio l’Associazione onlus SOS Animali Selvatici ed Esotici, che hanno fondato insieme.

Tre sono i desideri che questa Associazione persegue: recuperare gli animali e curarli; insegnare qualcosa sui temi di cui si occupa; studiare i rapporti tra le persone e gli animali, fornendo informazioni scientifiche e corrette che facilitino tali rapporti e il rispetto per la natura.

Quando prende la parola, il dottore veterinario Marco Campolo, l’invitato della giornata arrivato per l’occasione a Genova dalla Puglia, si presenta. Racconta che “fa rescue”, cioè che – fuori dal gergo – si occupa in prima linea e su ogni fronte di animali maltrattati in tutta Europa. Lavora, inoltre, presso alcune strutture zoologiche.

La falconeria e i suoi strumenti

Il dottor Campolo, che fa parte del Gruppo Falconieri Italiani, definisce subito la falconeria come arte venatoria, ma specifica che comprende anche diverse attività, dalla caccia per utilità sociale fino alla conservazione delle specie. La falconeria per lui personalmente, invece, è “lavoro, amicizia, condivisione”. Racconta che questa disciplina ha più di 2.000 anni di storia, dato che le sue prime tracce di trovano in Cina e Mongolia, e poi nel periodo di Gengis Khan tra XII e XIII secolo.

Le aquile – le cui femmine possono pesare anche 5 kg e mezzo – “hanno la vista 20 volte più potente di quella dell’uomo” e venivano già utilizzate per la caccia; oggi anche per catturare i lupi, che forniscono carne, pelliccia, ecc. Apprendiamo che d’estate gli animali non possono cacciare, per cui venivano liberati, per essere poi di nuovo catturati d’inverno.

In Europa la falconeria è arrivata, invece, con Federico II di Svevia, che nel 1260 scrisse il trattato De arte venandi cum avibus.

È interessante scoprire i diversi strumenti di cui si avvale la falconeria. Innanzitutto c’è il guanto, di solito sinistro, composto di diversi strati di cuoio, per proteggersi dalla stretta poderosa delle zampe dei rapaci. Artigiani d’eccellenza si trovano proprio in Italia, ad esempio a Roma o Melfi.

Poi c’è la bisaccia per il cibo e per le prede. Elemento essenziale è anche il cappuccio, che deve calzare alla perfezione e serve per coprire la testa del falco, che così non vede intorno e non si stressa. Questo non è uno strumento di coercizione: corrisponde al guinzaglio, e suscita le stesse reazioni del cane quando lo vede, perché sa che esce a fare una passeggiata.

Il logoro, invece, viene fatto roteare, ed è il simulacro di una preda, che fa avvicinare il falco. Le antenne vhs o gps evitano di perdere il falco, mentre il blocco è dove l’animale riposa, massaggiando al tempo stesso le sue zampe.

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SOS Animali-Falconeria e tutela rapaci-foto Linda Kaiser-GE220701_8819

La falconeria patrimonio vivente dell’umanità

I rapaci si distinguono, spiega il dottor Campolo, in diurni (falco pellegrino, gheppio, falco di palude, aquila reale, nibbio con coda di rondine) e notturni, cioè che cacciano all’alba e al tramonto (gufo reale, barbagianni, civetta). Le femmine di questi volatili sono più grandi dei maschi, anche il doppio (a parte l’avvoltoio), e vengono utilizzate se la preda è di formato maggiore.

La falconeria oggi è praticata in tutto il mondo ed è patrimonio vivente dell’umanità. Le regioni italiane in cui è più diffusa sono: Puglia, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Friuli, Veneto e Piemonte. In Europa la patria della falconeria è la Repubblica Ceca.

La disciplina, come precisa il dottor Campolo, trova però la sua massima espressione negli Emirati Arabi. “Qui estremizzano tutto”, dice, “comprano cappucci di brillanti e scelgono falchi bianchi, del colore della purezza, che valgono 40-45.000 euro l’uno”. L’ubara è l’animale preda che viene lasciato mangiare dai falchi nei paesi mediorientali, anche se è una specie minacciata di estinzione.

Il veterinario napoletano Antonio Di Somma, ad esempio, dirige un ottimo ospedale per falchi, il Dubai Falcon Hospital. Fondato nel 1983 a Dubai dallo sceicco Hamdan bin Rashid al Maktoum, possiede attrezzature avanzatissime, che neppure gli ospedali per umani possono vantare.

La falconeria oggi

Il dottor Campolo stuzzica la curiosità del pubblico parlando della varietà delle attività che si possono effettuare con i rapaci. La poiana di Harris, che vive in Messico e caccia in gruppo, è il rapace più facile da addestrare: lui la definisce addirittura “una specie di cane”, tanto è domestica. Spiega, poi, che in genere i maschi sono più facili da addestrare rispetto alle femmine.

La caccia si definisce in alto volo, con i falchi che salgono con l’aiuto delle correnti ascensionali termiche fino anche a 500 m di altezza; quando la preda parte, il falco la raggiunge in picchiata, spingendosi a velocità fino a 300 km/h. La caccia di basso volo, invece, si svolge con inseguimento e cattura.

Esiste anche un’altra arte, il free flying, che è didattica. Negli Emirati Arabi, invece, ci sono discipline sportive che valutano velocità, attacco, ecc. con simulacri.

La falconeria oggi fa parte spesso di spettacolari rievocazioni storiche. Gherardo Brami, ad esempio, che ha sede a Poppi, in provincia di Arezzo, è un giovane birdtrainer professionista tra i più bravi in questo tipo di dimostrazioni al pubblico in occasione di eventi.

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SOS Animali-Falconeria e tutela rapaci-foto Linda Kaiser-GE220701_8822

La falconeria come utilità sociale

La falconeria è utilizzata anche per fini sociali, spesso contro il birdstriking negli aeroporti, o per l’allontanamento degli uccelli nocivi – piccioni, gabbiani, gazze, storni – dalle fabbriche, soprattutto di prodotti commestibili, dove potrebbero danneggiare macchinari e catene produttive.

Ad esempio, in 20 anni sono cambiate le rotte migratorie degli uccelli che assediavano l’aeroporto di Bari, perché proprio 20 anni fa il falconiere è stato chiamato a intervenire. Il dottor Campolo ne è stato testimone diretto, perché era con lui. Ci spiega che gli uccelli sono attirati dalle piste aeroportuali, in quanto “comode e calde d’inverno”.

I falconieri, in questo caso, lavorano in loco “dall’alba al tramonto”. I falchi vanno pesati tutti i giorni e vanno tenuti a un peso fisso, come uno sportivo, dato che, se pesa troppo, l’animale non vola; se pesa poco, non torna indietro, perché non ce la fa. Queste operazioni costano molto e perciò, ironizza il dottor Campolo, l’aeroporto di Genova non ha ancora preso un falconiere per risolvere il problema dei gabbiani nei motori dei velivoli.

Gli animali non vanno chiusi in gabbia, perché si rovinano le penne e non volano più bene per quell’anno, ma sono tenuti sul blocco con i geti, generalmente realizzati con strisce di cuoio più sottili possibile. Si nutrono di pulcini, polli, quaglie e dopo si dice che “fanno la cura”, cioè rigettano la borra, che è l’emissione necessaria delle ingesta come piume, peli, ossa e denti.

I rapaci e la conservazione delle specie

Per quanto riguarda la conservazione dei rapaci, oggi ci sono coppie che nidificano in diverse parti d’Italia, nei cosiddetti “carnai” che fungono da attrattiva.

Se l’animale ha subito dei danni, come, ad esempio, nel caso dei grifoni non più liberabili per le ferite riportate, di cui parla il dottor Campolo, lui e i suoi colleghi lavorano ex situ per poi liberare i cuccioli in natura, dopo averli “adattati”.

Una civetta della Nuova Zelanda, invece, quasi estinta in natura, conviene mantenerla in cattività. L’EEP, European Endangered Species Programme (programma europeo per le specie minacciate di estinzione), fondato nel 1985, impone agli zoo raccomandazioni obbligatorie proprio per la riproduzione, in modo da mantenere il più possibile la diversità genetica, evitare la consanguineità e sviluppare una popolazione europea indipendente da quella selvatica.

Perciò, “quando il Covid, che non è stato abbastanza efficace, o chi per lui, lavorerà meglio”, aggiunge il dottor Campolo un po’ ridendo, ma anche un po’ sul serio, “potremo rimettere gli animali estinti in natura, dove ora non c’è più spazio”.

Un gheppio senza un’ala è “come una ballerina senza le gambe ed è meglio praticare l’eutanasia”, sostiene lui, “per concentrare, invece, le forze sul recupero vero”. D’altra parte, ricorda come i canili, oggi, nella maggior parte dei casi siano “dei lager, supportati più da ragioni politiche che da effettive buone pratiche”.

Il recupero dei rapaci

Nell’ipotesi ci fosse un rapace da recuperare, ad esempio un nidiaceo che è caduto a terra, il dottor Campolo raccomanda di chiamare sempre un esperto. In ogni caso, occorre qualcosa per prendere l’animale – come un asciugamani in cui avvolgere l’animale, tenendolo al buio – e qualcosa per tenerlo, che non sia una gabbia, perché si farebbe male, ma un trasportino chiuso.

Questi animali resistono senza mangiare per 24 ore e bevono poco, se però non sono cuccioli. Possono fare male con gli artigli (ad esempio, le arpie), con il becco (in particolare, gli avvoltoi) e con le ali.

Al termine di questa stimolante e intensa conversazione di circa un’ora e mezza, supportata da slide e brevi filmati, il pubblico, che nel frattempo gli ha già rivolto numerose domande, accompagna il relatore ospite in un brindisi finale, gentilmente offerto dall’Associazione SOS come ringraziamento a tutti i partecipanti. Linda Kaiser

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