Teatro colmo e vigorosi applausi al Carlo Felice per il balletto Bolero-Ravel, un omaggio a Maurice Ravel, compositore legato alla danza, nel centocinquantenario dalla nascita (1875 – 2025). La produzione, sulle musiche del maestro francese, ideata da Daniele Cipriani, è plasmata in primis dai coreografi Sasha Riva e Simone Repele, collaborazione creativa nata dai comuni studi presso l’Hamburg Ballet di John Neumeier. I due artisti sono soprannominati i “poeti della danza” per la delicata ed elegante poesia che riescono a infondere a ogni singolo gesto e movimento.
Lo spettacolo presenta una sorta di biografia artistica in coreografia, in cui si ripercorrono le principali tappe della vita di Ravel e l’incontro con figure dell’arte della danza quali Serge Diaghilev, Vaslav Nijinsky e Ida Rubinstein, che ha dato vita alle sue più celebri composizioni. Diceva la ballerina e coreografa americana Martha Graham “la danza è la lingua segreta dell’anima che di solito non mente”. I quattro balletti sono introdotti da due simpatici attori – strilloni che presentano, colloquiando in duetto, articoli sulla vita del compositore.
Il primo pezzo, Rapsodie spagnole, ha per coreografo ed interprete Sergio Bernal, danzatore raffinato e magnetico, dai movimenti perfettamente sicronizzati con la musica e con le immancabili nacchere, star del balletto spagnolo.
Pavane pour un infante défunte ha come coreografi ed interpreti Simone Repele e Sasha Riva, con la partecipazione straordinaria di Luciana Savignano. Un balletto raffinato ed elegante, insolito, carico di contenuti. Una processione di figure evanescenti e poetiche in una luce dorata, una metafora universale della fragilità umana, con una Luciana Savignano eterea che merita in pieno la definizione conferitale di astro luminoso della danza e che dona la sua classe all’evento.
La Savignano sorprende per l’evidente emozione che la sua danza suscita anche in lei e per la capacità di trasmettere agli altri la bellezza di un’arte sublime dove la tradizione si trasforma senza soluzione di continuità nel presente e si proietta verso il futuro.
Le Valse: “Ho concepito il lavoro – scrisse Ravel – come una specie di apoteosi del valzer viennese, nel quale è contenuta l’impressione di un turbinio fantastico e fatale. Immagino La Valse nella cornice di una corte imperiale verso il 1855”. Il tipico tranquillo valzer viennese viene, tramite la musica, deformato e accelerato, Eccezionali gli interpreti Anbeta Toromani e Alessandro Macario per la coreografia di Francesco Nappa.
La Valse ha due grandi sezioni che vanno dal piano al fortissimo, in un susseguirsi di temi di danza che toccano tonalità e sfumature svariate e stupefacenti. Nel primo crescendo l’aria di danza si libera per raggiungere un’ossessività densa e quasi fisica. Il secondo crescendo si avvale di melodie e ritmi vari opposti manifestando una vitalità frenetica ineluttabile.
Il Bolero è una composizione per orchestra del 1928. Nato come musica da balletto, scritto su richiesta della ballerina Ida Rubinstejn, è divenuto in seguito celeberrimo come brano da concerto.La partitura affascina anche in mancanza di coreografia. E’ un capolavoro ipnotico, sensuale,ossessivo, un crescendo che parte da un tema semplice ed arriva ad una potenza sinfonica estatica e travolgente (dionisiaca, dervisci rotanti?). Si assapora la sua modernità, la precisione di Ravel (definito l’orologiaio svizzero da Stravinskij ), la sua universalità e il suo mistero. La composizione musicale consta di un singolo tema ripetuto all’infinito con un crescendo intenso e magnetico che aggiunge via via nuovi strumenti verso una sorta di trance. L’uso del sassofono conferisce un timbro jazzistico, come una moderna ossessione ritmica. Un fascino quasi tribale per il sempre presente sottofondo tamburellato dai danzatori, per arrivare alla festosa partecipazione finale di tutta l’orchestra, felicemente diretta da Paolo Paroni. Ottima la prestazione di Sergio Bernal e dei danzatori della sua scuola Dance Company, per la coreografia di Rafael Aguilar.
Ultimo spettacolo domenica 21 dicembre. Durata 85 minuti. ELISA PRATO
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