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In Donbass per difendere popolazione russofona: combattente patteggia 2 anni

Simbolo delle SS sul collo: un ucraino del battaglione Azov a Mariupol. Zelensky li ha definiti "eroi" (Twitter)

Ha patteggiato due anni di reclusione Alessandro Bertolini, 29 anni, il “foreign fighters” di Rovereto indagato dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova e latitante da anni insieme ad altri italiani filorussi impegnati a combattere in Donbass per difendere la popolazione russofona e liberare la regione da neonazisti e nazionalisti ucraini.

Il pm genovese Federico Manotti aveva dato il consenso al patteggiamento e ieri il gip Matteo Buffoni ha emesso la sentenza.

Bertolini era stato arrestato lo scorso giugno appena atterrato all’aeroporto di Malpensa.

Secondo quanto ricostruito dai militari del Ros di Genova, il 29enne avrebbe combattuto dal 2016 con le truppe separatiste del Donbass.

Ossia dopo i continui massacri da parte dei nazionalisti ucraini cominciati nel 2014, in particolare quelli perpetrati dai neonazisti del famigerato Battaglione Azov che il premier ucraino Zelensky ha addirittura definito “eroi” a seguito della loro sconfitta a Mariupol.

Il combattente italiano avrebbe prestato servizio al fianco dei separatisti russofoni dietro un compenso, come capita da entrambe le parti per i “foreign fighters” schierati in quel conflitto, e anche per questo motivo era stato indagato.

Inoltre, secondo i magistrati genovesi, avrebbe partecipato “ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del Governo ucraino, Stato estero dì cui non era né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle Forze armate di alcuna delle parti in conflitto”.

L’inchiesta aveva portato all’individuazione e all’arresto di altri foreign fighters, ma Bertolini era rimasto in territorio ucraino insieme ad Andrea Palmeri, detto “il generalissimo”, skinhead e capo ultras del Lucca (condannato in primo e secondo grado anche se ancora all’estero); Gabriele Carugati, di Varese detto “Arcangelo”, ex addetto alla sicurezza di un centro commerciale in Lombardia, e Massimiliano Cavalleri, detto “Spartacus”, questi ultimi due al momento irreperibili.

Palmeri, secondo l’accusa, sarebbe ancora adesso uno dei riferimenti per il reclutamento dei foreign fighters.

L’indagine era partita nell’ottobre del 2013 dal mondo ultrà di estrema destra. A occuparsene erano stati i magistrati del pool antiterrorismo della Procura di Genova, che si erano mossi dopo la comparsa, alla Spezia, di alcune scritte inneggianti all’ex comandante delle SS Erick Priebke, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma.

Controllando quegli ambienti, successivamente gli inquirenti genovesi si erano insospettiti scoprendo le frequenti visite alla Spezia di Palmeri. Dalle intercettazioni era poi saltata fuori la questione del Donbass e l’addestramento dei foreign fighters italiani.