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Carlo Felice, Die Fledermaus, la danza dell’ipocrisia

Carlo Felice, Die Fledermaus, la danza dell'ipocrisia
Una foto dell'allestimento del Teatro

E’ in corso al Teatro Carlo Felice Die Fledermaus, ovvero Il pipistrello, di Johann Strauss iunior, operetta in tre atti del 1874, su libretto di Carl Haffner e Richard Genée, tratto dall’opera francese Le réveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy.

L’orchestra del Teatro è diretta dal maestro Fabio Luisi, la regia è di Cesare Lievi.

Lo spettacolo si apre su una scena essenziale, moderna, suggestiva, alla quale si adattano perfettamente i bellissimi costumi, lineari e fastosi al tempo stesso, che raggiungono la massima teatralità  con le scene d’insieme.

L’andamento è frizzante, scorrevole, tutto godibile senza momenti di caduta, nonostante l’uso della lingua tedesca sia nelle parti cantate che in quelle recitate: l’ampio spazio dato all’azione, pur nell’ambito dello stile teutonico, pare porsi come una sorta di valore aggiunto, consentendo al pubblico di seguirne gli intrecci indipendentemente dalle parole.

La simbologia dello struzzo, sempre incombente, persino… accarezzato, presente ma non invasiva, appare talvolta come una sorta di  umanizzazione dei personaggi, quasi a giustificarne le ipocrisie e i cedimenti.

Anche nella parte conclusiva, quando tutti si rivedono in prigione, chi detenuto, chi in visita, ritroviamo l’animale in gabbia, come i protagonisti, che le sbarre siano autentiche o psicologiche.

La sorpresa finale è affidata al simpatico carceriere Frosch, unico personaggio che non canta ma recita e trova la maniera di omaggiare… l’intercalare genovese.

La critica di ogni tempo ha annotato che la definizione di operetta conferita allo spettacolo sia riduttiva: certamente lo è, almeno in rapporto al nostro gusto.

In realtà l’autore (figlio del Padre del valzer) ha creato un capolavoro in cui il valzer la fa da padrone (e non poteva essere altrimenti essendo parte integrante della cultura viennese importata dalla Francia) ma coesiste con un bouquet di melodie affascinanti ed immortali sempre create da Strauss, polke, galop, csardas (magnifica quella intonata da Rosalinde, moglie di von Eisentstein,  nei panni di una contessa ungherese).

E l’elemento musicale si sposa perfettamente con la danza, l’umorismo, le riflessioni sulle debolezze umane.

L’antefatto ci parla di una vendetta a lungo attesa. Anni prima Eisentstein, dopo una festa in maschera, abbandonò l’amico Falke, reso ubriaco e vestito da pipistrello, in un bosco: per cui la mattina seguente il malcapitato fu costretto ad attraversare la città vestito da pipistrello, tra le ironie dei passanti.

Tutti i personaggi sono ” struzzi”, vivono nell’inganno e per ingannare gli altri, ma ingannano anche se stessi: secondo i costumi di quel pacifico animale-simbolo, vivono con la testa nella sabbia una vita falsa che non voglio vedere, almeno fino ad un certo punto.

I protagonisti, dopo essersi incontrati tutti ad una festa vorticosa, il ballo del principe Orlofsky, che è il cuore dello spettacolo, dove tutti partecipano travestiti, finiranno “imprigionati”.

Alla fine del terzo atto giochi e finzioni saranni svelati, ma già le loro coscienze intorpidite hanno fabbricato un colpevole: lo champagne, un vino dall’amaro retrogusto. E “felice chi dimentica ciò che non può essere cambiato”.

E Falke avrà la sua vendetta gustata fredda, squarciando il velo dell’ipocrisia che avvolge il matrimonio dell’ “amico ” Eisentstein e mandandolo a monte.

Le eccezionali musiche sono splendidamente eseguite dall’orchestra, a cominciare dal bel preludio.

Superlativi i cantanti attori, considerate altresì le difficoltà delle partiture, personalmente revisionate da Strauss, bravi i danzatori nel cimentarsi con generi diversi. La recensione si riferisce allo spettacolo del 1° gennaio.

Si prevedono altri quattro spettacoli nei giorni 7, 8, 10, 11 gennaio. Da vedere. ELISA PRATO