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Al  Carlo Felice  l’opera delle passioni estreme, Tosca

Al  Carlo Felice  l'opera delle passioni estreme, Tosca
Al  Carlo Felice  l'opera delle passioni estreme, Tosca

Pubblico folto, entusiasta ed elegante quello che  venerdi sera ha assistito alla prima di “Tosca” per la regia di Davide Livermore, ripresa da Alessandra Premoli, scene e luci dello stesso Livermore, bei costumi di Gianluca Falaschi.

Data storica quella del 14 gennaio 1900: al teatro Costanzi di Roma si rappresenta la prima della Tosca, tre atti di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratta dal dramma omonimo di Victorien Sardou, autore a tinte fosche di moda nella Parigi di fine secolo.

Tra gli spettatori la regina Margherita. Spettacolo applaudito con qualche riserva sul testo, definito dalla critica brutale, sadico e volgare. Ma diventerà l’opera più eseguita al mondo.

Puccini aveva in mente il personaggio di Tosca dal 1889, da quando aveva assistito, a Milano, al dramma di Sardou interpretato da Sarah Bernhardt: avrebbe forse preferito un finale meno truculento, con una Tosca che impazzisce piuttosto che finire suicida.

Ma gli autori si mostrarono irremovibili e il Nostro, in genere  comprensivo verso la condizione femminile, si rassegnò commentando “La vogliono morta a tutti i costi quella povera donna!”

La vicenda, dalla trama molto nota, è ambientata nel 1800 a Roma, nella storica e centrale chiesa di Sant’Andrea della Valle.

Il pittore Mario Cavaradossi dipinge una Maddalena bionda, come la marchesa Attavanti, ritratta, involontaria modella, mentre pregava.

Il quadro suscita la gelosia della sua amante di bruna bellezza, la cantante Tosca, la quale  chiede insistentemente all’amato di mutare gli occhi del dipinto da azzurri in neri.

Il pittore nasconde un console dell’ex Repubblica Romana, fuggito da Castel Sant’Angelo e ricercato dal potente capo della polizia Scarpia, che sfrutta la gelosia di Tosca per conoscerne il nascondiglio. Mario è arrestato, torturato e condannato a morte.

Tosca, disperata e insidiata dal barone Scarpia, finge di accettare le sue libidinose proposte in cambio di una finta fucilazione del pittore e di un lasciapassare per fuggire insieme all’amato da Roma. Ottenuto apparentemente quanto voleva, Tosca pugnala Scarpia a morte con un coltello da arrosto presente sul tavolo.

Quando Mario cade sotto i colpi – autentici per l’inganno di Scarpia – del plotone d’esecuzione, Tosca si  getta da Castel Sant’Angelo.

Opera delle passioni e degli eccessi portati al massimo livello da personaggi memorabili, dove tutti, sia i buoni sia i cattivi, ingannano e sono ingannati e dove alla fine non si salva nessuno.

Tosca è un personaggio centrato su un mix di disperato amore e di morbosa gelosia, ma anche di ingenuità, che la porta a travisare i fatti (cadendo  in qualche tranello), preludio di un finale altrettanto eccessivo, impulsivo e disperato.

La donna, vissuta coltivando l’arte e l’amore, nonchè convinte pratiche religiose, diventa spietata e determinata quando capisce che Scarpia le sta negando di vivere il suo sentimento e si chiede, con un moto d’animo ben comprensibile, il perchè  tutto questo succeda  proprio a lei che mai aveva fatto male ad anima viva. E non esita ad annullare se stessa quando comprende che il suo sogno d’amore non avrà realizzazione.

Scarpia pare incarnare il sadismo di personaggi, da sempre esistenti, che, invasi dal delirio della loro onnipotenza, non possono “perdere la faccia”, non si fanno scrupolo di calpestare sentimenti e pudori per  capricci passeggeri.  Anzi, più profondo è l’odio e la disperazione che suscitano nella vittima, più ne sono eccitati.

Cavaradossi, pur granitico nel suo patriottismo, è il meno eccessivo, sommesso ed umano nel commovente ricordo, a un’ora dalla morte, degli incontri notturni d’amore, nella nostalgia di un sogno  che svanisce, nell’aspirare ad una vita una vita piena e felice  che inesorabilmente gli sfugge.

La scena di questa edizione è moderna ed efficace: un grande triangolo che ruota mostrando le diverse ambientazioni, una chiesa, palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo, una sorta di cupo sottoscala per i luoghi di tortura che Puccini ha voluto  collocare fuori  scena.

Colpiscono anche i simbolici sfondi che sottolineano passaggi e sentimenti, memorabile il Cristo in croce che compare mentre torturano Cavaradossi, il semibuio  ( dell’anima?) che appare nel momento dell’oscena proposta di Scarpia a Tosca.

Il finale regala un fermo immagine cinematografico: Tosca viene bloccata quando sta per gettarsi  da Castel Sant’Angelo mentre  un suggestivo Angelo si protende verso di lei.

Il direttore dell’orchestra Pier Giorgio Morandi ha perfettamente interpretato sia la passionalità espressa dall ‘Autore, sia il ruolo descrittivo della musica  nelle varie situazioni che si susseguono incalzanti, quasi sempre senza pause, che un coro non invasivo sottolinea con efficacia.

Le  belle voci degli interpreti hanno guadagnato meritatissimi applausi a scena aperta per le melodie d’effetto, dove Puccini dipingeva i sentimenti con la musica, l’incisiva  Maria Josè Siri per  “Vissi d’arte”, il bravo tenore Riccardo Massi dopo “E lucevan le stelle”.

Del tenore  Massi ricordiamo anche  la tempestività con cui si prestò a sostituire egregiamente Marcelo Alvarez dopo l’ormai famoso “incidente” della Manon dello scorso marzo.

Magnifico Amartuvshin Enkhbat nella parte di Scarpia, efficaci anche gli altri interpreti  da Dongho Kim a Matteo Peirone, da Manuel Pierattelli a Claudio Ottino e Maria Guano.

Tosca è opera dall’effetto catartico.

Catarsi: quale il significato di questa espressione ricorrente e spesso fraintesa? Si mette in scena una storia, talvolta riguardante normali vicende umane, con l’intento di sollevare il pubblico al di fuori della propria realtà per qualche ora, per riflettere sulle cause soggettive ed oggettive dell’accadimento scenico, puntando più sull’aspetto drammatico che sulla narrativa.

Chi assiste guarda  con sguardo esterno ma  vedendosi  simile, per cui si mette in condizione di capire meglio il proprio problema e di estraniarsi, almeno in parte, dall’afflizione.

La liberazione avviene quando lo spettacolo e gli attori sono in grado di far uscire dallo spettatore l’angustia, il pathos.

Aristotele definisce la catarsi il distacco purificatorio che sopraggiunge nel momento in cui si comprende la ragione nascosta degli eventi.

Per i maestri orientali una messinscena troppo violenta non è catartica: porta con sè sia il pericolo sia di non apparire reale, sia d’imitazione da parte di soggetti deboli o disturbati.

Tosca rimane al Carlo Felice fino a domenica 5 marzo. ELISA PRATO