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Lotta alle toghe di parte, Becchi e Palma: ecco perché Giorgia fa paura ai magistrati

La premier Giorgia Meloni con il ministro della Giustizia Carlo Nordio (foto di repertorio)

Chi legge i giornali in questi giorni si è fatto l’idea che Giorgia Meloni voglia seguire Silvio Berlusconi nella lotta alla magistratura di parte.

Per la verità, più che Berlusconi sono stati certi magistrati a rovinargli la vita, ma ormai è acqua passata. Acqua passata per Berlusconi, che non c’è più, mentre per la magistratura militante la “lotta continua”.

Non riuscendo a colpire Meloni personalmente, come ha fatto con Berlusconi e Matteo Salvini, la magistratura militante è passata all’attacco del ministro per il Turismo Daniela Santanché e del presidente del Senato Ignazio La Russa, attraverso vicende che riguardano il figlio.

Ma Meloni perché fa così tanta paura a certi magistrati?

In materia di Giustizia ha tracciato una rotta precisa nominando l’ex magistrato Carlo Nordio al ministero di via Arenula. Sin da subito l’ex pm, espressione del garantismo processuale, ha cercato di imprimere una direzione garantista alla Giustizia, ma ha trovato un muro di gomma nella magistratura e, a dire il vero, un’opposizione anche in Fratelli d’Italia, il partito che lo ha candidato alle scorse politiche.

Dobbiamo dire la verità. In Fratelli d’Italia ci sono tanti ex di Alleanza Nazionale che nel 1992-93 osannavano Antonio Di Pietro e il pool milanese di Mani Pulite. Quindi, Nordio si è trovato più volte in difficoltà.

Come accaduto di recente con la fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, che il ministro intendeva tipizzare nel Codice penale, visto che al momento è solo una mera creazione giurisprudenziale. Apriti cielo! Sinistra e magistratura militante hanno pretestuosamente accusato il presidente del Consiglio di strizzare un occhio alla mafia. Roba da matti.

Eppure, si vede a occhio nudo che il concorso esterno in associazione mafiosa lede palesemente il principio “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali” (ripreso dall’art. 25 della Costituzione), ma il Presidente del consiglio, figlia di quella cultura anni Novanta di An, ha ben presto ridimensionato su questo tema il suo ministro della giustizia, evitando di cadere nella trappola tesagli dai magistrati.

Intanto, il presidente della Repubblica ha firmato l’autorizzazione di presentare il ddl Nordio alle Camere. Un disegno di legge che riforma solo in parte il Codice di procedura penale e contro il quale la magistratura, come sempre accade ogni volta che governa il centrodestra, ha issato le barricate.

E allora dalla politica, dal fronte della maggioranza, qualcuno ha ribattuto alle barricate dei giudici con la proposta di voler separare le carriere tra magistratura requirente e giudicante, dimostrando, diciamo la verità, di aver capito ben poco.

La separazione delle carriere, sotto forma di separazione delle funzioni, è una misura in pratica già attuata dalla riforma Cartabia: già oggi è infatti consentito un solo passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, e viceversa, nei primi nove anni di carriera, e poi, negli anni successivi, un altro solo passaggio dalla magistratura requirente a quella giudicante ma solo verso quella civile, e viceversa (in modo tale da evitare commistioni di interessi).

Non è dunque la separazione delle carriere il vero nodo del dissenso. Il fatto è che la magistratura quando intende attaccare politicamente qualcuno utilizza le indagini, quali che siano, lavora sulla fase delle indagini preliminari per creare un polverone mediatico utile ad eliminare il nemico politico di turno. È evidente la recente “operazione La Russa”.

Ed è proprio su questo aspetto, seppur in parte, che interviene il ddl Nordio, che ora passa all’esame delle Camere.

Infatti, tra le altre misure, il ddl prevede il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, consentita solo se lo stesso è riprodotto dal giudice nella motivazione della sentenza, dunque a processo finito, o è utilizzato nel corso del dibattimento quando è garantito un contraddittorio tra le parti, oltre al divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, evitando in questo modo la circolazione degli atti nelle redazioni dei giornali.

La magistratura non potrebbe così più utilizzare le intercettazioni per colpire il nemico politico di turno. Intercettazioni che sono state utili alla magistratura per far cadere il quarto Governo Berlusconi e che oggi vengono sfruttate per colpire il Governo Meloni. È di questo divieto che i giudici di sinistra hanno paura.

Altra misura contenuta nel ddl, che paralizzerebbe certe azioni politiche della magistratura, sta nella previsione di inoppugnabilità, da parte delle Procure, delle sentenze di assoluzione dell’imputato per una serie di reati puniti con la pena massima di quattro anni di reclusione. Una misura che, se approvata, costringerebbe i Pm ad esercitare l’azione penale con maggiore serietà, evitando di portare in aula casi che, qualora si concludessero con sentenza di proscioglimento, non potrebbero essere riesaminati in sede di gravame. E ciò toglierebbe tempo alle Procure di dedicarsi anima e corpo ai politici non desiderati.

Con queste due misure il ministro Nordio ha messo il dito nella piaga, ed è per questo che in realtà viene attaccato. Sarebbe una grave sconfitta per Nordio e per il Governo se non passassero almeno queste misure. Prof. Paolo Becchi e Avv. Giuseppe Palma