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Come cambiano i formati pubblicitari (e perché l’ad block diventerà inutile)

Come cambiano i formati pubblicitari (e perché l’ad block diventerà inutile)

Ogni giorno sempre più acquirenti scoprono l’utilità dei software ad-blocker, con grande gioia personale, e altrettanto grande disappunto dei marketer. Che d’altronde il ritmo di installazione e di adozione di questi software “blocca-pubblicità” sia impetuoso, sono i numeri a dimostrarlo: una recente stima di Optimal ci informa che negli USA saranno 100 milioni i consumatori che adotteranno blocchi di annunci pubblicitari entro il 2020, rispetto ai 44 milioni di consumatori aggiornati alla fine del 2016. Secondo le stesse stime, questa abitudine equivarrà a oltre 12 miliardi di dollari persi da parte delle entrate pubblicitarie display nell’anno finale di questa indagine.

Peraltro, sono gli stessi produttori di browser che seguono la tendenza e si rivelano sempre più attenti ad accompagnare le esigenze di stop promozionale da parte dei propri utenti. In tal senso si può leggere la mossa di Google, che sta lavorando su uno plugin di Chrome che “silenzia” i video autoplay: un’altra notizia che potrebbe essere molto buona per i consumatori, ma nociva per gli inserzionisti che magari vorrebbero far giungere al destinatario finale annunci ancorché convenienti, come quelli su scontistiche legati ai propri prodotti o servizi preferiti, o il lancio di nuovi bonus no deposito.

Considerato che difficilmente le aziende si daranno per vinte dinanzi a tale attività di ad-blocking, vien da domandarsi in che modo i brand aggireranno queste funzionalità di blocco e di disattivazione degli annunci? Le piattaforme pubblicitarie più dinamiche, come Facebook, hanno trovato il modo di disabilitare il blocco degli annunci sui loro siti, consentendo alle aziende di diffondere il proprio contenuto. Altri operatori si stanno invece spostando su nuove piattaforme.

Per esempio, YouTube, benché consolidato, sta crescendo in modo significativo in popolarità, con una nuova base di pubblico sempre più ampia: gli inserzionisti hanno naturalmente preso nota. YouTube Kids è gratuito per i consumatori, supporta la pubblicità e raggiunge circa il 70% del pubblico tra i 6 e i 12 anni, includendo ovviamente alcune opzioni come i controlli parentali, le preferenze sui contenuti e i limiti di tempo. Un’altra grande opportunità per gli inserzionisti che desiderano raggiungere questo segmento di destinazione con annunci in streaming.

Oltre al lavoro sulle piattaforme più note e consolidate, molta strada potrebbero garantirla dei “neofiti” di questo contesto. Se infatti è vero che i siti di streaming come YouTube, Hulu e Amazon Video hanno sempre avuto annunci integrati al loro interno, è anche vero che le piattaforme come Netflix stanno solo ora iniziando a seguirne l’esempio. Sebbene la piattaforma sia ancora tecnicamente priva di pubblicità, nel 2016 è già stata sottoposta a un’attenta valutazione per l’evidente posizionamento del prodotto nella sua serie originale “The Ranch”: quanto basta affinché spettatori e critici si domandassero se questo sarebbe diventato il nuovo format “standard” promozionale per la piattaforma. Nel 2017, Accenture ha iniziato a lavorare su una tecnologia di product placement che a suo avviso potrebbe generare entrate da miliardi di dollari nei prossimi anni, affrontando i problemi che gli inserzionisti stanno contrastando con il software di blocco degli annunci pubblicitari.

Questa soluzione, guidata dall’intelligenza artificiale (e altre simili) sarà utilizzata per ridimensionare, posizionare e personalizzare rapidamente loghi e prodotti che potrebbero apparire in contenuti correlati. Ad esempio, se state facendo ricerche su un nuovo MacBook online e decidete di mettere in pausa per guardare una serie di Netflix Original, sul video potrebbe improvvisamente apparire un oggetto promozionale su un personaggio o su un cartellone che compare sullo sfondo di una scena cruciale. Un sistema che potrebbe destare una rapida personalizzazione per ciascun utente, consentendo la declinazione dei contenuti e migliorando il re-targeting.

Dunque, è vero che l’ad block presto non servirà più? Probabilmente l’affermazione è eccessiva, e il titolo del nostro post è provocatorio. Tuttavia, appare chiaro come gli inserzionisti difficilmente rinunceranno a una quota di entrate così rilevante come quella che potrebbero effettivamente bruciare con l’adozione di massa di questi software per il blocco delle promozioni, e non stupisce pertanto che si possa giungere rapidamente ad un nuovo approccio pubblicitario, più innovativo e ancor più personalizzato, che potrebbe fare la sua comparsa su piattaforme e servizi nuovi, finora sostanzialmente inesplorati nei confronti dei messaggi promozionali.

L’impressione è altresì che le cose siano destinate a cambiare nel breve, se non nel brevissimo, termine. Se infatti è vero che l’emorragia delle entrate si sta già manifestando con particolare incisività, solamente offuscata da numeri complessivi in sviluppo, è anche vero che i marketer non aspetteranno certamente di toccare con mano numeri negativi per poter intervenire in questo ambito. Dunque, già entro la fine del 2018 sono attese nuove sperimentazioni da parte dei pubblicitari, alla ricerca di modi sempre più opportuni per poter soddisfare le esigenze degli inserzionisti, senza tuttavia generare fastidi e disagi nella platea degli utenti e dei consumatori finali.