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Una piccola impresa su quattro teme di chiudere nel 2021

Una piccola impresa su quattro teme di chiudere nel 2021

Indagine CNA sulle aspettative delle imprese, un quarto di esse rischia di fallire nel 2021

«Una piccola impresa su quattro teme di chiudere nel 2021 se l’attuale stato di difficoltà dovesse protrarsi nei mesi a venire. Sono essenziali ulteriori interventi non solo statali, ma anche territoriali per mettere in sicurezza il tessuto economico ed i posti di lavoro», commenta Luciano Vazzano, Segretario territoriale CNA Imperia, prendendo spunto dall’indagine condotta dal Centro studi CNA tra gli iscritti, cui hanno partecipato circa 2.800 imprese, dal titolo “Pensare a un futuro senza Covid. Le aspettative delle imprese per il 2021”, con l’obiettivo di raccogliere i timori e le prospettive future delle imprese.

LA SINTESI

Quale 2021 prevedono gli imprenditori sotto il profilo economico italiano?

Il 74,1% delle imprese coinvolte nell’indagine immagina che la caduta del prodotto interno lordo tricolore registrata nel 2020 possa essere recuperata solo parzialmente nel 2021. Il 23,1%, invece, è ottimista e crede che l’Italia sia in grado di riconquistare rapidamente i livelli pre-Covid. I giudizi sono sicuramente influenzati dal settore operativo delle imprese: i comparti che il confinamento ha fermato (costruzioni) o ha rallentato in maniera sensibile (dal turismo ai servizi per la persona) propendono infatti per una visione negativa.

Passando dal generale al particolare non cambia, in sostanza, la situazione: predomina infatti un 67,1% degli intervistati scarsamente o per nulla fiducioso nel breve periodo. In particolare, il 40,1% è convinto che nel 2021 non tornerà ai livelli precedenti ed il residuo 27% ha addirittura paura di cessare l’attività nei prossimi mesi.

Il settore che sembra più fiducioso è quello dell’edilizia, anche grazie alle speranze riposte nel Superbonus 110% e nelle altre agevolazioni previste per le costruzioni: all’opposto, i settori a più accentuato timore di chiusura sono il turismo (43,5% del totale), il trasporto (33,3%) e i servizi per la persona (31,7%), comparti dove tre quarti e più delle imprese hanno subito danni economici gravissimi.

Quali strategie le imprese propongono al governo per uscire dalla crisi?

Le ipotesi possono essere raccolte in tre ordini di suggerimenti.

Un primo gruppo di imprese (pari al 36,4% del totale) ritiene si debba cercare un punto di equilibrio tra le ragioni dell’economia e la gestione della pandemia mediante linee di azione flessibili, continuando ad adottare le zone gialle, arancioni e rosse a seconda della gravità dell’emergenza sanitaria. In questo gruppo spicca il settore manifatturiero, che dopo avere sofferto pesantemente il lockdown produttivo di primavera, è poi tornato ad operare regolarmente recuperando buona parte delle perdite. Un secondo gruppo di imprese (35,6%) ritiene invece che le ragioni dell’economia siano prioritarie e reputa che nuovi lockdown debbano essere evitati. Per questa soluzione, le imprese che più di altre hanno patito le norme di distanziamento sociale: i servizi per la persona (47,9%), la filiera del turismo (46,7%) e le attività commerciali (44,7%), queste ultime anche spiazzate dalla rapida diffusione dell’e-commerce, verso cui non erano pronte.

Infine vi è un terzo punto di vista, espresso dal 28% delle imprese secondo cui l’Italia dovrà affrontare il virus adottando le stesse misure varate dagli altri Paesi. Si tratta di una strategia, apparentemente passiva, che in realtà persegue un obiettivo chiaro: “marcare” da vicino i principali paesi europei al fine di mantenere invariata la nostra posizione competitiva. A sostegno di questa impostazione vi sono soprattutto le imprese dei settori delle costruzioni e dei servizi per le imprese.

Le priorità per facilitare la ripresa nel 2021

Su questo tema, le prospettive si compattano: oltre il 78%, quasi 4 su 5, ritiene infatti che il Governo debba garantire un adeguato sostegno alle imprese. Tale risposta non appare tanto una critica sull’adeguatezza delle misure di ristoro messe in campo nel 2020 quanto un accorato grido di aiuto, che supera il 90% nei servizi per le persone e sfiora tale quota nel turismo

Le altre priorità indicate da almeno una impresa su tre (investimenti in ricerca ed istruzione, il sostegno al reddito dei lavoratori e la realizzazione di un piano di investimenti infrastrutturali materiali e digitali) rivelano senza ombra di dubbio un’attenzione particolare per le caratteristiche che dovrà avere il Paese per potere risalire la china.

L’istruzione che è di per sé un fattore imprescindibile per qualsiasi sistema economico avanzato, ha infatti risentito in modo particolare delle restrizioni imposte per garantire il distanziamento sociale. Anche gli investimenti infrastrutturali appaiono in questo momento non più rinviabili: la loro realizzazione risulterebbe il motore in grado di fare ripartire l’economia e il sistema delle imprese. Da ultimo non sorprende la richiesta di garantire sostegno al reddito ai lavoratori, soprattutto in quei settori ad alta intensità di lavoro e la cui operatività è stata sconvolta dal Covid: i servizi per la persona, che tra i vari settori sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire ed il turismo che ha sofferto il crollo quasi totale della domanda estera.

«I dati dell’indagine CNA fotografano una situazione che percepiamo anche a livello locale: la pandemia di coronavirus è uno shock violento per la nostra economia e si fa fatica a capire la reale entità del rischio.», continua Vazzano. «Sono necessarie risorse per tenere in piedi le aziende in crisi, consapevoli del fatto che alcuni settori sono meno a rischio ed altri sull’orlo del baratro, in funzione di una serie di fattori, che hanno colpito sia l’offerta sia la domanda. L’offerta ha risentito delle politiche di confinamento, delle difficoltà di approvvigionamento, della capacità produttiva ridotta e aggravata da ulteriori costi connessi alle misure di contenimento; in parallelo, la domanda ha segnato una contrazione a causa di una evidente diminuita capacità di spesa dei consumatori finali e di una trasformazione nell’approccio al mercato, con un accresciuto interesse verso nuovi format distributivi.».

 

«Durante questa crisi sanitaria, sarà fondamentale non solo proteggere i settori critici, ma anche i nostri beni, le nostre tecnologie e le nostre infrastrutture e tutelare i posti di lavoro.», conclude.

«La forza dei nostri territori è il tessuto economico bilanciato tra artigianato, industria, agricoltura, commercio e turismo. Il cedimento di uno o più settori farebbe crollare anche gli altri. La tenuta del sistema necessita nel breve di misure rapide, chiare, efficaci, con ristori locali che vadano necessariamente a compensare le misure statali. A lungo termine, l’ampiezza dei contraccolpi dipende sicuramente dalla durata della pandemia, ma anche dalla dimensione in cui le misure politiche saranno in grado di proteggere l’economia da cicatrici irrecuperabili e puntellare la capacità di stimolo della domanda.».