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In tempi di Covid, l’ictus non resta a casa

In tempi di Covid, l’ictus non resta a casa

Azzerate le prescrizioni dei nuovi anticoagulanti e accesso in ospedale più difficile per i pazienti durante la prima ondata

L’appello dei medici: «Identificare le persone a rischio e mettere in atto programmi specifici che semplifichino l’accesso alle cure».

Nuove strategie: realizzare piattaforme digitali di condivisione dati tra gli stakeholder  del settore e “pacchetti di screening” per i pazienti a maggior rischio

La malattia vascolare è stata messa in un angolo durante la pandemia da Covid-19 e i pazienti hanno avuto meno possibilità di accedere ai centri di cura con una conseguente diminuzione degli accessi in ospedale. Un dato che misura quanto l’emergenza sanitaria abbia profondamente sconvolto il percorso di cura e di assistenza per i pazienti colpiti da ictus cerebrale è che nella prima ondata è stata azzerata la prescrizione di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti ed è stato più difficolto per questi pazienti andare in ospedale dove il timore del contagio ha avuto un forte impatto sulla decisione del paziente a chiedere aiuto. Questo è il quadro emerso durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer.

Ogni anno in Italia si registrano almeno 100.000 nuovi ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità: il numero di persone che attualmente vive in Italia con gli esiti invalidanti di un ictus ha raggiunto la cifra record di quasi un milione (Rapporto 2018 Ictus).

Una ricerca basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione, condotta dalla World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia, ha messo in evidenza che esiste una maggiore sensibilizzazione verso il tema della prevenzione in paesi come Olanda e Inghilterra mentre in Italia esiste un grosso gap tra l’implementazione delle linee guida per la prevenzione dell’ictus e ciò che in realtà viene fatto.

“Sulla prevenzione dell’ictus, le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti – ha spiegato Valeria Caso, Dirigente

Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare-Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia: sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Poi: potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario; promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. Sono convinta che finché non esiste un accesso equo alla terapia mnon si può implementare in maniera corretta la terapia prescritta. E, infine, sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità ,e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

L’emergenza Covid-19 come ha reso difficoltoso l’accesso alle cure ai pazienti, ha anche fornito la possibilità di guardare a nuove opportunità. “L’ictus non rimane a casa, il paziente deve venire in ospedale ed essere trattato – si appella Graziano Onder, Direttore Dipartimento malattie cardiovascolari, Istituto Superiore di Sanità -. Un dato allarmante è stato registrato nei mesi di marzo, aprile e maggio e cioè che le prescrizioni di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti si sono azzerati. Inoltre l’accesso in ospedale a pazienti con malattie diverse dal Covid-19 è stato molto ridotto e decine di migliaia di visite ambulatoriali per malattie croniche sono state cancellate. Se veramente vogliano trarre un insegnamento da questa fase epidemica dobbiamo essere bravi a identificare le persone a rischio e mettere in atto dei programmi specifici che semplificano l’accesso alle cure, un esempio potrebbe essere l’impiego delle tele-visite”. “Gli smartphone, anche già in tempi pre Covid, sono venuti incontro ai pazienti – conclude Caso -. Credo che sia importante andare verso una cura più territoriale”.

“Abbiamo la necessità assoluta di governare l’emergenza ma non dimentichiamo le emergenze passate – ha dichiarato l’Onorevole mNicola Provenza, Componente Commissione XII (Affari Sociali) Camera dei Deputati –. Dobbiamo non soltanto intervenire sulla prevenzione, n potenziandola, e intervenire con efficacia e prontezza per un riequilibrio tra ospedale e territorio. Non dobbiamo scordare che da febbrai a ottobre 18 milioni di prestazioni sono saltate”.

Quali altri strategie? Concordi le associazioni e federazioni di pazienti (FEDER-A.I.P.A. OdV, Federazione Associazioni Italiane Pazienti Anticoagulati, Federazione A.L.I.Ce. Italia ODV – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) a istituire tavoli di lavoro e piattaforme digitali per rilevare, sondare i dati e confrontarli tra i stakeholder del settore al fine di elaborare le migliori strategie per rendere migliore la vita del paziente con ictus e migliorare le cure, e a costituire “pacchetti di screening per la prevenzione dell’ictus” rivolti a pazienti a maggior rischio, in una logica di educazione alla salute e alla prevenzione appunto.