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Corte Europea condanna i pm italiani su abuso intercettazioni

Intercettazioni (foto di repertorio)

“La legge italiana non contiene adeguate ed effettive garanzie per proteggere dal rischio di abuso i cittadini destinatari di queste misure. Persone che, non essendo sospettate di essere coinvolte in un reato o accusate di un reato, rimangono estranee al procedimento”.

E’ la sintesi della sentenza di ieri della Corte europea dei diritti umani, che si è pronunciata ancora una volta su vicende che hanno riguardato Bruno Contrada, l’ex agente segreto prima condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma dieci anni dopo assolto con l’annullamento della condanna proprio grazie a una sentenza della Cedu.

Stavolta, per i giudici di Strasburgo, i pm italiani hanno violato il diritto al rispetto della vita privata di Bruno Contrada quando hanno proceduto nel 2018 all’intercettazione e alla trascrizione delle sue conversazioni telefoniche nell’ambito del procedimento sull’omicidio di Nino Agostino, in cui l’ex funzionario del Sisde non era imputato.

Per questo, i supremi giudici della Cedu hanno riconosciuto a Contrada un risarcimento morale di novemila euro.

In particolare, è il logico ragionamento dei giudici di Strasburgo, queste persone non hanno la possibilità di rivolgersi a un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un effettivo riesame della legalità e della necessità della misura. Di conseguenza non possono ottenere un’adeguata riparazione se i loro diritti sono stati violati.

Alla luce di queste “carenze”, per i giudici della Cedu, l’Italia ha violato quindi l’articolo 8 della Convenzione, secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

I giudici di Strasburgo si erano pronunciati per la prima volta dieci anni fa sull’altro caso giudiziario che allora vide coinvolto Bruno Contrada, finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo prima condannò l’Italia per la ripetuta mancata concessione, da parte del giudice italiano, degli arresti domiciliari all’ex agente segreto gravemente malato.

Poi l’anno successivo condannò lo Stato italiano, che risponde per i magistrati, a un risarcimento di diecimila euro per danni morali perché Contrada non doveva essere né processato né condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dato che all’epoca dei fatti contestati (dal ’79 all’ ’88) il reato non era codificato e “l’accusa di concorso esterno non era sufficientemente chiara”.