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Caso Scalabrin, Comunità San Benedetto al porto nel mirino della procura

Genova, Comunità san Benedetto al porto (foto di repertorio fb)

La Procura di Savona sta valutando di aprire un fascicolo contro ignoti per violazione del segreto istruttorio, dopo il post su fb dell’altro ieri pubblicato dai responsabili della Comunità San Benedetto al Porto di Genova sulla morte del 33enne Emanuele Scalabrin.

L’arrestato per droga lo scorso 5 dicembre è deceduto nella camera di sicurezza della caserma di Albenga, dove attendeva il trasferimento in carcere a Marassi.

Arrestato ieri per droga, 33enne di Albenga muore nel sonno in cella. Escluse violenze

La Comunità, nel post in cui ha annunciato di avere chiesto un’interrogazione sull’episodio al ministro dell’Interno Lamorgese, avrebbe fornito una serie di dettagli sull’inchiesta che, secondo l’ipotesi della procura, non potevano essere diffusi.

Nel frattempo, proseguono le indagini della pm Chiara Venturi per far luce sull’accaduto dal momento dell’arresto in casa, dove tra l’altro sarebbe stato trovato anche un fucile, fino alla morte.

L’esito dell’autopsia, effettuata nei giorni scorsi, sarà noto solo tra due mesi, dopo l’esame tossicologico disposto dagli inquirenti.

L’obiettivo è chiarire le cause dell’arresto cardiocircolatorio che avrebbe portato alla morte di Scalabrin.

Da un primo esame del medico legale non risulta che siano emersi segni di violenza.

La procura indaga anche sulla visita al pronto soccorso, dove il detenuto era stato trasportato.

L’obiettivo è capire se Scalabrin, che accusava sintomi da crisi d’astinenza da droga, si sia limitato a presentare la ricetta del metadone che aveva con sé o se abbia riferito anche altri sintomi.

Per quanto riguarda le telecamere di videosorveglianza della cella, la procura non ha confermato il dubbio che fossero “non funzionanti” avanzato dai responsabili della Comunità di San Benedetto al porto.

Ecco il testo integrale del post su fb, al momento non ancora cancellato.

“Verità per Emanuel.
Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, o forse al mattino del 5 dicembre, è deceduto in ragazzo di 33 anni, Emanuel Scalabrin, in una cella di sicurezza della Caserma dei CC di Albenga.
Forse, perché in questa terribile vicenda non si è neppure in grado di conoscere il momento in cui è avvenuta la sua morte.
Le circostanze del suo arresto, avvenuto in casa, alla presenza della sua compagna, del
trasferimento in cella di sicurezza e della sua morte sono attualmente oggetto di indagine da parte della Procura di Savona.
Giovedì 10 è stato nominato l’anatomo patologo dell’Università di Genova che ha provveduto all’autopsia sul cadavere e si è in attesa di conoscere l’esito e soprattutto le cause di questa morte improvvisa.
Emanuel aveva problemi di dipendenza, storie di sofferenza e carcere che troppo spesso condannano le esistenze delle persone, portano a morti sommerse, in circostanze dove l’abuso della forza, la solitudine e il disagio prevalgono su ogni più elementare diritto.
Molti i particolari della vicenda che lasciano dubbi ai suoi familiari ed aggiungono un carico di dolore ancora maggiore.
Secondo il racconto dei parenti il 4 dicembre Emanuel verso le 12.30 si trova nella sua casa di Ceriale insieme alla compagna Giulia, mentre il loro figlio minore di 9 anni si trova presso una famiglia di amici.
Ad un certo punto mentre si apprestano a pranzare viene a mancare la corrente elettrica ed Emanuel esce dalla porta di casa per verificare se si tratta di un’interruzione o altro.
Improvvisamente viene spintonato all’interno dell’alloggio da alcuni agenti in borghese che erano lì appostati per l’irruzione, lui viene trascinato all’interno della casa fino alla camera da letto e qui gettato sul materasso dove viene colpito in ogni parte del corpo torace, addome, schiena, viso ed estremità.
Emanuel urla e chiede aiuto, dice che non riesce a respirare mentre Giulia la sua compagna implora i carabinieri del nucleo di Albenga di fermarsi.
Emanuel sarà successivamente tradotto nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Albenga, dove verso sera sarà chiamata la guardia medica perché Emanuel non stava bene e presentava sintomi morbosi.
Dopo una visita di un’ora, la Guardia Medica chiede ai CC che egli venga trasferito al P.S. di Pietra per accertamenti sulle condizioni cliniche, avendo verificato che aveva la pressione alta e tachicardia.
Qui la visita, se così si può dire, dura ……5 minuti, compreso il tempo di compilare la cartella clinica del paziente!!
Rientrato in Caserma viene nuovamente ristretto in cella e solamente alle 11 del mattino successivo i CC si accorgono della sua morte.
Molti sono i segni sul cadavere, che dovranno trovare una spiegazione, macchie ipostatiche? In varie parti del corpo? Sia sul viso che sul corpo? Sia nella parte anteriore sia nella parte posteriore del corpo?
Incredibilmente poi, si è saputo che non è stato possibile stabilire il momento della morte, in quanto il sistema DVR era non funzionante, e quindi non era in realtà possibile monitorare lo stato di salute dei detenuti.
I familiari di Emanuel non si danno pace e per avere maggior tutela hanno conferito l’incarico ad un avvocato dello Studio Legale Branca STA di Genova ed ad un consulente medico legale, il Dott. Marco Salvi.
Le circostanze della morte di Emanuel devono essere chiarite e non può lasciar cadere il silenzio su questo susseguirsi di violazioni di diritti e incongruenze…
Per questo motivo abbiamo chiesto che venga sottoposta un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese”.