Home Politica Politica Genova

Agende Rosse Liguria attacca Gasparri: giù le mani da Di Matteo

Il magistrato Antonino Di Matteo (foto di repertorio)

Il Movimento Agende Rosse della Liguria gruppo “Falcone Borsellino” di Genova ieri ha espresso “piena vicinanza, solidarietà e sostegno al magistrato Antonino Di Matteo dopo il duro attacco del capogruppo di Forza Italia in Senato Maurizio Gasparri”.

“Al centro della ‘punizione’, a gran voce invocata dal parlamentare – hanno spiegato i responsabili del movimento Agende Rosse della Liguria – il libro inchiesta di Di Matteo scritto insieme al giornalista Saverio Lodato intitolato: ‘Il colpo di spugna: trattativa stato- mafia, il processo che non si doveva fare’ nel quale si affronta, appunto, il tema della trattativa stato-mafia all’epoca delle stragi del 1992/93.

Un tema ben conosciuto dal magistrato e che però ha spinto Gasparri a firmare un atto di sindacato ispettivo nei confronti del Guardasigilli Carlo Nordio affinché ‘verifichi l’eventuale sussistenza di responsabilità disciplinari e a tutela della magistratura, della Corte di cassazione e dei suoi componenti’.

Certi che l’articolo 21 della nostra costituzione che assicura libertà di opinione e critica valga anche per il concittadino Antonino Di Matteo e sicuri che lo stesso, in quanto magistrato e conoscendo molto bene le regole d’ingaggio e di decoro nell’espressione ma altrettanto la necessità di tenere alta l’attenzione su alcuni punti oscuri che la sentenza della Cassazione non ha chiarito, come Movimento Agende Rosse Liguria intendiamo manifestare tutta la nostra solidarietà ad Antonino Di Matteo.

Comunicheremo quanto prima le azioni che intendiamo intraprendere, secondo termini di legge e guidati dalla Carta costituzionale, a sostegno di uno dei più grandi Magistrati che il nostro Paese vanta nei ruoli”.

“Sono costernato e indignato – ha dichiarato il prof. Giuseppe Carbone, presidente coordinatore del Movimento delle Agende Rosse della Liguria – da quanto sta succedendo a causa delle dichiarazioni di un Senatore della Repubblica.

Abbiamo una legislazione antimafia nata, e sofferta, per l’impegno di grandi uomini che sono arrivati all’estremo sacrificio della vita per avere giustizia nel nostro Paese, che meriterebbe diffusione anche nei Paesi dell’Unione Europea.

Abbiamo magistrati di levatura internazionale che il mondo ci invidia i cui nomi sono sulla bocca di tutti, Nino Di Matteo e Nicola Gratteri in primis.

Eppure, Nino Di Matteo, che indagando sulle stragi del ’92/’93 ha scoperto e portato alla luce una vile trattativa tra lo Stato e l’antistato, invece di essere non solo protetto, ma magnificato per il lavoro svolto, viene attaccato e delegittimato ai limiti del vilipendio.

A Nino Di Matteo e al pool di magistrati che con lui hanno lavorato per anni al c.d. processo Trattativa, si deve, se non altro, la ricostruzione di una verità storica a dir poco inquietante. E tale impianto accusatorio trovò accoglimento nella sentenza del primo grado di giudizio, al termine del quale tutti gli imputati, proprio per la chiarezza delle indagini di Di Matteo, sono stati condannati dalla Corte di Assise di Palermo.

In appello poi, la Corte, pur riconoscendo che la trattativa ci fu, rendendo ragione al magistrato sul piano della verità storica, ha stabilito che il fatto non costituisse reato, poiché non esiste un reato di ‘trattativa’.

Alla luce dei fatti emersi nel procedimento di primo grado, non negati dalla sentenza di appello, è difficile non chiedersi se questa prima assoluzione non fosse un modo per non ammettere che frange deviate dello Stato hanno portato avanti una trattativa determinante per l’uccisione di Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, nella strage di Capaci. E per l’accelerazione del piano per il compimento dell’attentato in Via D’Amelio, in cui vennero assassinati Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Claudio Traina, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli.

La Cassazione, infine, ha assolto tutti gli imputati per non aver commesso il fatto, limitandosi a prendere in considerazione una piccola parte del materiale ad essa rimesso mediante i ricorsi delle parti e giudicando per l’annullamento della sentenza di appello senza disporre il rinvio a nessun’altra autorità giudiziaria (neppure per approfondire aspetti che avrebbero meritato, questo lo si può dire, ulteriore attività istruttoria).

Non è forse questo un colpo di spugna? Le verità scomode debbono ancora essere censurate? La morte di tante donne e uomini di Stato è davvero stata vana?

Da libero cittadino mi pongo queste domande e, onestamente, mi aspetto delle risposte (chiare) da parte dello Stato, che deve essere espressione di ogni sensibilità, anche quelle di chi, legittimamente, si pone quesiti e dubbi sulle motivazioni che comportano un così ampio scostamento tra verità storica (acclarata in due gradi di giudizio e in numerose sentenze passate in giudicato in altri processi di mafia) e la verità processuale cristallizzata dalla sentenza di Cassazione del processo Trattativa.

Tutti noi, infatti, rispettiamo le sentenze, ma abbiamo il sacrosanto diritto di criticarle quando occorre, anche a denti stretti.

Il Governo dichiara di voler combattere le mafie. Eppure, da anni iniziative di istituzioni, ministeri, deputati e senatori sembrano andare in senso del tutto contrario. Basti pensare alle recentissime riforme e proposte di riforma della giustizia e, da ultimo, ai tentativi di boicottaggio, isolamento e delegittimazione di magistrati non allineati al pensiero dominante che, per alto senso dello Stato e della giustizia, mortificano la loro vita e quella delle loro famiglie.

Tutto ciò è assurdo ed inaccettabile. Aspettiamo le reazioni, confidando in risposte coraggiose”.