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Il Nano Morgante | L’idea di felicità tra alba e tramonto

Il Nano Morgante | L’idea di felicità tra alba e tramonto

Ciascun individuo ambisce ad un proprio inesausto desiderio di felicità. Ed ogni azione umana risulta fermamente dedicata ed implicata in tale proposito.

Tuttavia, tale radicata implicazione non pare sempre confortata dal raggiungimento del risultato atteso.

E’ indubitabile che nessuno, salvo l’intrusione di intenti auto-inflittivi, si creerebbe da sé disagio o danno, a patto di averne debita premonizione o di comprendere per tempo la natura ed attendibilità di taluni segni.

Fatto sta che, nonostante tutto e tanti, il disagio spesso s’insinua per atto volontario.

In estrema sintesi, il preambolo è opportuno per trattare la controvertibile sorte individuale, là dove talune azioni personali, i cui effetti spesso ricadono ben oltre la sfera personale, non condurranno in cosy-corner, cioè in angoli accoglienti, bensì in luoghi angusti.

E’ utile definire tale aspetto ultimativo e contingente che, alla resa dei conti, tende a deviare le finalità dell’obiettivo unilateralmente preconfezionato.

L’argomento in parola (come ogni altro, d’altronde) è stato oggetto di ampi studi e trattazioni. Nondimeno, pare genericamente contemplabile la cosiddetta “eterogenesi dei fini” di Wundt, ad includere una fenomenologia di conseguenze non di rado discostate dalle intenzioni personali.

L’idea di felicità terrena, che in linea teorica parrebbe dover accomunare l’intera specie umana, non sempre rivela una univocità adeguata ed utile per il raggiungimento del proposito. Infatti, non è raro osservare iniziative che fin da subito paiono incerte e raffazzonate, al punto da non lasciare spazio immaginativo per poter supporre, salvo che nella percezione del soggetto coinvolto, chances di successo.

Nella realtà, è quanto mai pertinente considerare “il dono prezioso di non essere troppo intralciati da noi stessi”, citando André Gide, ed è parimenti degno di nota che, effettivamente, “ogni tramonto è alba da qualche altra parte”,  citando anche Ernst Jünger.

Per concludere, ne consegue un tipo di felicità che, privandosi delle gioie comuni e prediligendo l’individualità, ben lungi dal costituire ricchezza, contempla in sé un felicitante inizio ed una mesta fine.

Massimiliano Barbin Bertorelli