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Greenpeace, Legambiente e WWF Italia

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Greenpeace, Legambiente e WWF Italia, Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee PiTESAI

Greenpeace, Legambiente e WWF Italia, le valutazioni sono poco credibili e censurabili e rendono sempre più certa l’ipotesi che, in assenza dell’adozione del Piano entro il 30 settembre, si rimettano in moto i procedimenti autorizzativi vecchi e nuovi (compresi quelli di Valutazione di Impatto Ambientale) per la prospezione e ricerca degli idrocarburi, sospesi sino a fine mese.

Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia chiedono, quindi, al Ministro della Transizione Ecologica un provvedimento urgente, ad hoc di proroga del termine del 30/9 per l’adozione del PiTESAI se non si vuole trasformare un processo e un Piano atteso dal 2018 in una farsa, che rende poco credibili gli impegni per la decarbonizzazione al 2030 (-55% delle emissioni di gas serra) e per la neutralità climatica al 2050, assunti dall’Italia con l’Europa e indicati come priorità nel PNRR.

Le tre associazioni hanno inviato 77 pagine di Osservazioni nell’ambito della procedura di VAS, entro il termine ultimo del 14 settembre, ma fanno notare, innanzitutto, anche con una lettera inviata lo scorso 9 settembre allo stesso Ministro Cingolani che:

non è credibile mantenere il termine del 30 settembre per l’adozione del PiTESAI, visto che per legge prima bisogna che il Piano sia modificato sulla base delle Osservazioni arrivate in VAS e che si deve raggiungere l’Intesa sulla versione definitiva del Piano con la Conferenza Unificata per le attività legate alle trivellazioni a terra, il tutto in 16 giorni.

Non è valutabile quanto sottoposto a VAS perché la documentazione prodotta dalla Direzione proponente del MiTE (DIGESSEG) è troppo generica e lacunosa, sia nell’analisi della situazione attuale che nella descrizione degli scenari futuri non consentendo così – secondo il Codice dell’Ambiente (D.lgs. n. 152/2006) e la normativa di settore (art. 11-ter del DL n. 135/2018) di valutare gli impatti significativi sull’ambiente, né quali siano le scelte relative a dove sia consentito o no svolgere le attività legate all’attività estrattiva e un quadro certo di quali siano i tempi e i modi di dismissione delle piattaforme e messa in ripristino dei luoghi.

Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia denunciano come le elaborazioni poste alla base della procedura di VAS (Proposta di Piano e Rapporto Ambientale) possano a malapena costituire un vago documento di indirizzo e chiedono, invece, che il PiTESAI dia chiare indicazioni per:

cessare subito qualsiasi rilascio di nuove autorizzazioni per concessioni di coltivazioni di idrocarburi a terra e a mare e indichi un termine ultimo per chiudere qualsiasi attività estrattiva (come fatto per legge da Francia e Danimarca) cancellare:

1. le Zone a terra di regioni come Abruzzo, Calabria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte e Puglia e la Zona C a mare (Mare Tirreno meridionale, Canale di Sicilia, Mar Ionio meridionale) che producono meno del 4% del gas estratto in Italia; 2. la Zona E a mare (a Nord Ovest della Sardegna, Mar Ligure, Mare Tirreno, Mare di Sardegna) limitrofa al Santuario dei Cetacei, a tutela di ecosistemi marini di elevata sensibilità e importanza per la conservazione dei mammiferi marini non avallare ipotesi di riutilizzo dei pozzi e delle piattaforme per lo stoccaggio e la cattura di CO2, tecnologia inefficace e contestata scientificamente, funzionale al mantenimento dell’industria fossile (impianti termoelettrici e per l’estrazione di oil&gas)
fornire un quadro credibile sugli effetti cumulativi delle attività di estrazione di petrolio svoltesi per più di 20 anni in Basilicata (concessioni Val D’Agri e Gorgoglione) e compiere una valutazione degli impatti ambientali, sociali ed economici futuri
chiudere, al termine della loro autorizzazione, le concessioni di coltivazione e i premessi di ricerca che non siano stati sottoposti a VIA (94 concessioni e 1 permesso di ricerca sui 248 titoli minerari vigenti al 30/6/2021).
Inoltre, gli ambientalisti ricordano che non è stato prodotto ancora uno Studio di Incidenza a  tutela dei siti Natura 2000 voluti dall’Unione Europea (nel rispetto delle Direttive Habitat e Uccelli) e che si devono approfondite le valutazioni degli impatti, ad ora assolutamente vaghe e superficiali, sugli ecosistemi e i fondali marini (inquinamento da IPA, PCB ed altri agenti chimici, oltre che quello derivante dal rumore) e sulla geologia, idrogeologia, geofisica, vulcanologia, tutti aspetti importantissimi per le attività estrattive. A conferma che la documentazione posta alla base della VAS è una “scatola vuota”.