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Crollo Morandi. Polizia e VV.FF il cuore oltre l’ostacolo primi soccorsi

Il “Ponte di Brooklyn” di Genova non c’è più. Il “Morandi” viadotto storico dell’A10, dal 1967 “monumento ardito” del panorama urbanistico della Superba, è crollato all’improvviso alle 11:36 di stamane sotto un temporale estivo annunciato…come “annunciata”, dicono in molti genovesi inebetiti dall’orrore e dallo sgomento, era da tempo la tragedia di oggi.

Ma per le polemiche ci sarà tempo con le obbligatorie perizie e controperizie mentre naturalmente la Procura ha già aperto un fascicolo di un’inchiesta che si preannuncia lunga e complessa. Disastro colposo. Peggio di una strage.

La cronaca, più impressionante di un film catastrofico. La pioggia cade battente. Prima un potente fulmine nel cielo della bassa Valpolcevera, poi il successivo tuono… poi il roboante innaturale frastuono che ricorda un bombardamento aereo che ha fatto sobbalzare tutta la bassa vallata polceverasca. Si saprà non molto dopo che almeno 30, 35 automezzi, tra cui due enormi “bisonti della strada” sono stati trascinati nel vuoto a precipizio per 55 metri, schiantati e demoliti da enormi solette di acciaio, cemento e asfalto, “ritagliate” con precisione a livello dei giunti che non hanno più tenuto. Una è erta di sbieco e piantata come una lama nel centro del letto del torrente.

LA soletta di acciaio piantata nel terreno

11:40. E’ il terrore. Si sentono urla e gemiti provenire dall’ammasso di blocchi di cemento e lamiere. Lì sotto ci sono autisti, passeggeri…i morti e i feriti. I primi ad intervenire sono alcuni mezzi dei Vigili del Fuoco: il centralino del Distaccamento di San Benigno è infuocato dalla tempesta di telefonate concitate di abitanti increduli.

A ruota escono dalla Caserma del Reparto Mobile della Polizia di Stato di Bolzaneto numerose pattuglie e furgoni con i primi agenti che scaveranno a mani nude tra il “castello di carte” collassato di piloni frantumati e aggrovigliati da una inestricabile “foresta” di tondini ripiegati su sé stessi.

“Al momento sono 25 le vittime accertate e 15 i feriti gravi, ma le cifre ufficiose parlano di 35 deceduti e altrettanti in vita, ma deturpati dai traumi tutti estratti dai veicoli sotto le macerie” – ha detto verso le 14 Luigi D’Angelo, responsabile dell’ufficio gestione delle emergenze del Dipartimento della Protezione Civile, nella conferenza stampa di aggiornamento sulla tragedia.

Pompieri e poliziotti si calano nel greto del Polcevera mentre continua a piovere un’acqua fastidiosa che annebbia la vista. Si comincia a lavorare nel letto del torrente, si scava sotto le macerie del ponte. Dopo meno di un’ora sono oltre una cinquantina i mezzi dei Vigili del Fuoco impegnati in parte dentro il limaccioso argine del torrente e in parte su Via Argine Polcevera nel tentativo di estrarre quanti più feriti ancora in vita possibili.

Una trentina i mezzi di Polizia e Carabinieri.

 

 

 

Una motrice a ruote in su di un Tir dalla cabina bianca strappata dal suo rimorchio articolato e sfasciato a pochi metri di distanza è il relitto più visibile. Ma il miracolo avviene, l’autista, forse di nazionalità ceca, viene tirato fuori praticamente incolume. Non così per un piccolo di 10 anni che un poliziotto estrae da un’autovettura appiattita come una sottiletta. L’agente del Reparto Mobile lo adagia tra fanghiglia e le erbacce e si fa forza per non scoppiare in lacrime. L’uomo prima del poliziotto…ma non si ferma.

I primi interventi sono concitati ma anche lucidamente coordinati dagli ufficiali di Polizia e dai graduati dei pompieri. Si organizzano le squadre per non sovrapporsi. Arrivano flessibili e martelli da sbanco ma non è possibile assolutamente far scendere le ruspe o le autogru. I mezzi pesanti in questa fase possono fare più danni ai feriti di quanto non possano aiutare gli uomini a spostare i grossi macigni di cemento e asfalto.

C’è un varco, stretto e inquietante tra ciò che resta di brani sbrecciati di cemento. Vigili del Fuoco e poliziotti in team creano una catena umana per formare una “cordata” che non può che essere formata da piccoli, grandi uomini senza paura…o forse con la paura messa da parte, cancellata dalle urla dei feriti che provengono dall’imbuto buio di “caverne” in cui infilarsi per raggiungere i mezzi sepolti.

Volteggia nel cielo a bassissima quota e presto atterra l’elicottero “Drago” degli uomini in tuta rossa e casco aereonautico dei pompieri. L’equipaggio dei due piloti con il medico d’urgenza trascinano una barella a cucchiaio per stabilizzare i traumatizzati e corrono verso l’inferno grigio di cemento sbriciolato.

Caricano un ferito stabilizzato e con la coperta termica dorata che svolazza lo imbarcano sul velivolo che decolla direzione Ospedale San Martino. Sarò solo il primo della staffetta continua dei voli che partono per il nosocomio di Corso Europa e ritorno.

Secondo testimonianze sotto i quasi 200 metri di cemento del viadotto crollato, che si è abbattuto anche su un capannone in parte divelto e su un deposito Amiu (la municipalizzata dei rifiuti del comune all’interno della quale si temono ulteriori dispersi) si sentono voci e richieste d’aiuto. E qui, sulla sponda di via Argine Polcevera, che è stato estratto il corpo di una delle vittime più giovani, il bambino di 10 anni che viaggiava in auto con la mamma e il papà su uno dei veicoli precipitati dal viadotto, nel vuoto per 90 metri. Impossibile immaginare cosa possa aver provato nei suoi ultimi 10 secondi di vita.

Anche il secondo dei camionisti di cui non si conoscono le generalità, a bordo pesanti veicoli precipitati per ultimi da Ponte Morandi, usciti miracolosamente illesi dalle macerie dopo essere precipitati nel vuoto si uniscono ai soccorritori e iniziano a scavare per liberare gli altri automobilisti.

Alle 15 non è ancora possibile percorrere la viabilità urbana sottostante nei due punti del crollo.

Marcello Di Meglio