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Carlo Felice, Beatrice di Tenda convince ed emoziona

Carlo Felice, Beatrice di Tenda convince ed emoziona
Carlo Felice, Beatrice di Tenda convince ed emoziona

In corso al Teatro Carlo Felice il dramma di Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani, per la regia di Italo Nunziata, fino al 22 marzo.

Corre l’anno 1418 al castello di Binasco. Il ventenne Filippo Maria Visconti, duca di Milano, non tollera più il matrimonio politico contratto con  la notevolmente più anziana Beatrice de’ Lascari, contessa di Tenda e vedova del condottiero Facino Cane, che  ha portato in dote molte terre che hanno  rafforzato il ducato del consorte, ma l’atteggiamento ostile di Filippo nei confronti dei sudditi acquisiti e il carattere fermo di lei divide i  coniugi.

FIlippo ha un’amante, Agnese del Maino, che è però innamorata di Orombello, signore di Ventimiglia, il quale ingenuamente le svela  l’amore ( platonico) per Beatrice. Agnese rivela  a Filippo il presunto adulterio.

Intanto Orombello ha radunato contro il duca gli uomini devoti a Facino Cane e svela a  Beatrice il proprio piano e i propri sentimenti, proponendole di fuggire con lui, cosa che la donna, desiderosa di mantenere la sua immagine di rispettabilità, rifiuta.

Quando Agnese e Filippo colgono Orombello inginocchiato ai piedi della contessa gridano al tradimento.

Durante il processo  Orombello ritratta le accuse di colpevolezza estortegli sotto tortura, proclamando l’innocenza di Beatrice: Filippo, in preda ai sensi di colpa, esita a firmare la sentenza.

La notizia che la fazione avversa è pronta ad intervenire armata a favore di Beatrice fa decidere Filippo verso la condanna a morte. Beatrice  accetta  l’atroce ingiustizia con parole di perdono e va verso il patibolo.

La scena è scura, di ambientazione gotica e comunica fin da subito un senso di oppressione e di disfacimento: ritratti in rovina, specchi che hanno perso l’argentatura, atmosfera cupa permanente dove persino l’amore di Orombello viene dichiarato davanti al ritratto del defunto marito.

Qualche commentatore sostiene che in questo dramma politico-psicologico tutto  è già successo: in realtà si comincia dalla metà della storia in quanto manca la parte più importante, l’iter verso il drammatico finale al quale lo svolgimento inesorabilmente si avvicina.

Ancora una volta Bellini propone una figura di donna integra e determinata, come già per Norma, avvolta in una solitudine che però non ne intacca la graniticità. Beatrice è sola da qualsiasi parte si volti, si muove in un nido di vipere, cortigiani compresi: la salvezza potrebbe venire dall’amore di Orombello, che però lei rifiuta, quasi le importi più della sua reputazione che della morte che già si profila  certa: senza affetti, si paragona ad un fiore il cui stelo è stato leso, per cui può solo lentamente perire.

Ciò però non tocca la linearità della psiche e dell’emotività della protagonista, a differenza delle persone ondivaghe  che la circondano, i cattivi Filippo ed Agnese, lo  stesso  innamorato Orombello. E come Norma muore da regina, a testa alta, senza maledire nessuno, anzi perdonando.

Lo svolgimento ha momenti di notevole intensità, quale il dialogo tra i due sposi, in cui uno accusa e l’altra si difende senza accusare a sua volta ( e forse la materia c’era ), o il  processo ai due presunti amanti, che occupa quasi tutto il secondo atto.
Il coro, suggestivo ed onnipresente in scena, cortigiani e damigelle, armigeri e giudici, commenta efficacemente l’azione.

La musica, molto ben diretta dal maestro Minasi a cominciare dal preludio, è quella di un Bellini musicalmente maturo, fose un po’ meno lirico ma efficacissimo nella narrazione, sia nei momenti “mesti”  che in quelli ” tremendi” più accesi, energicamente sottolineati ( gli aggettivi sono dello stesso compositore): belli due ensemble, che anticipano tinte verdiane.

Del tutto all’altezza il cast, secondo le aspettative, dai potenti timbri maschili, Mattia Olivieri nei panni di Filippo, Francesco  Demuro nei panni di Orombello, alle intense voci femminili. Angela Meade, nei panni di Beatrice non ha disdegnato qualche esibizione di virtuosismi che, per sua stessa ammissione, mostrano ciò che la voce umana è capace di fare, memtre Carmala Remigio ha egregiamente interpretato Agnese.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°Beatrice di Tenda è la penultima opera della produzione belliniana e l’unica a tematica storica di Bellini.  Il dramma s’ispira alla storia vera della duplice condanna a morte sanzionata, agli inizi del Quattrocento, da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, ai danni della moglie Beatrice, contessa di Tenda, e del presunto amante Michele Orombello.

Nel 1825 la tragedia di  Beatrice fu  rappresentata alla Scala per inframmezzare gli atti di “Caritea regina di Spagna” di Saverio Mercadante. Il soggetto  piacque tanto al soprano Giuditta Pasta, già creatrice dei ruoli di Norma e Sonnambula, che lo suggerì a Bellini, chiamato a scrivere l’opera di apertura della stagione di Carnevale del 1833 alla Fenice, di cui la stessa Pasta sarebbe stata la primadonna.

Il sovraoccupato librettista Felice Romani non gradì il cambiamento e consegnò i testi in ritardo. La prima assoluta del 16 marzo 1833 nel teatro veneziano fu un insuccesso annunciato che Bellini attribuì al librettista. ELISA PRATO