“Avevo 12 anni, vivevo nel cuore della Genova bene. Avevamo appena iniziato la seconda media, quando sono stata violentata fisicamente e psicologicamente tra le mura di casa mia. Ripetutamente. Per mesi e mesi. Da un uomo di cui mi fidavo. Da un uomo che nessuno avrebbe pensato potesse essere un mostro. Un dirigente genovese, il vostro bravo ragazzo”.
E’ la testimonianza choc raccontata oggi pomeriggio in aula dalla consigliera comunale di Genova della lista Rossoverde Francesca Ghio, attivista vicina ai centri sociali e agli ambientalisti radicali.
L’intervento in Comune a Genova arriva nel corso della discussione di un ordine del giorno sul tema della violenza sulle donne, presentato dalla consigliera del gruppo Misto, Arianna Viscogliosi.
Tutti i consiglieri comunali, i dipendenti degli uffici e il pubblico ascoltano attoniti.
“Lui mi diceva di stare zitta e che doveva essere il nostro segreto, dovevo giurargli di non raccontare niente a nessuno mentre sottostavo alle sue torture. Il dominio dell’uomo, del padre. La mia mente e il mio corpo sotto la sua autorità. L’emblema del patriarcato”, prosegue il racconto.
Ghio legge un testo, tanto che qualcuno si è chiesto se il suo fosse un racconto personale o la testimonianza di una conoscente.
“Importa davvero che sia successo a me o qualcun altro? Comunque, sì, sono io quella bambina di 12 anni” chiarirà in seguito.
La testimonianza prosegue: “Per un pezzo di vita mi sono rassegnata fino a credere che me l’ero meritata, cercata. Non so bene come, ma non avevo alternativa”.
E racconta di essere “arrivata a colpevolizzarmi al punto di ferirmi fisicamente. Mi sono coperta le cicatrici sulle braccia. Per anni nessuno mi ha mai chiesto perché tenessi sempre felpe e maniche lunghe. Ma il dolore era l’unica emozione che mi faceva provare ancora qualcosa”.
La consigliera comunale confessa: “Non ho mai denunciato quell’uomo: non sapevo neanche cosa fosse una denuncia a 12 anni. A scuola studiavamo Napoleone Bonaparte, nessuno parlava di emozioni, consenso, sessualità, sostegno alla fragilità. Nel mondo degli adulti non c’era un singolo volto in cui poter trovare rifugio e protezione”.
Insomma, spiega “altro non potevo fare perché nessuno mi ha mai detto che potevo parlarne. Nessuno mi ha mai chiesto perché ero diventata introversa all’improvviso”.
E, ancora, “quando ho provato a parlarne anni dopo, mi sono sentita giudicata. Iniziavo il discorso e notavo disgusto. ‘Ma no sto scherzando…’, dicevo per chiudere velocemente.
Ho iniziato a fumare, non mi piaceva fumare. Ma mi consolidava l’idea che qualcosa bruciasse dentro di me.
Ho fumato per anni senza che mi piacesse. Quel dolore andava soffocato in qualche modo. Nessuno voleva ascoltarlo. E io non avevo gli strumenti per capirlo”.
Dal suo vissuto a quello di tante altre donne, ragazze e bambine: “Mi guardo indietro oggi e, a distanza di decenni, nulla è cambiato. Gli uomini continuano a violentare nel silenzio complice di una società che non dà gli strumenti, che non vuole fermarsi a capire, che ritiene più facile e dignitoso nascondere il problema piuttosto che ammettere che questo cortocircuito è responsabilità del profondo vuoto che le istituzioni scelgono di non colmare.
Il 25 novembre (Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr) è passato. Ci vediamo l’anno prossimo con la conta dei numeri, chi sull’elenco dei nomi dei cadaveri, chi nel silenzio muore dentro vittima due volte dello stupratore e della società che guarda dall’altra parte”.
E chiude citando un brano della cantautrice e attivista femminista Giulia Mei: “Della mia f… farò una bandiera che brillerà nella notte nera”.
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