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Racconti | Ludo, il grande Sassofonista e la fantastica Manager

Tredicesimo appuntamento con il musicista Piero Trofa. Come già spiegato, non è una collaborazione musicale, ma da scrittore. Trofa è molto conosciuto nell’ambiente dello spettacolo, ed è autore di colonne sonore per documentari e spot pubblicitari, ed insegna musica in scuole pubbliche e private. Alla musica si dedica completamente, sempre con grande attenzione agli aspetti formativi e alle connessioni che esistono tra musica e filosofia, la sua grande passione. Dal 1998 è presidente dell’Associazione Musicale Centro di Documentazione e Produzione Musicale “Ettore Panizza” con la quale organizza concerti ed eventi culturali in Italia e all’estero. In questo suo tredicesimo racconto ci parla di una catastrofica serata al circolo “Serenissima”, che aveva sede a Genova in Piazza della Vittoria…

                                                                                                       Franco Ricciardi


Mi risuonavano nella mente le parole della dottoressa: “continui a suonare, mi raccomando” e mi chiedevo se avesse voluto semplicemente dirmi di continuare a guadagnarmi il pane con l’unica risorsa a mia disposizione, oppure se avesse voluto farmi capire che se non avessi pestato sui tasti del pianoforte sarei finito anch’io al padiglione 11.

Era stato per istinto di sopravvivenza che sin da bambino ero stato attratto dal vecchio pianoforte che avevamo in casa. Arrivavo a stento a schiacciare i tasti, allungavo le braccine e le manine e pestavo come capitava, partivo dagli acuti e scendevo giù fino ai bassi e là pestavo più forte, lo chiamavo “il suono del lupo”, mi atterriva ed esaltava al tempo stesso, ma mi faceva stare bene.

“Questo non è un giocattolo!” Gridava mio padre, poi si sedeva sul seggiolino e si metteva a strimpellare ed io lo guardavo a bocca aperta, schiacciavo qualche tasto con lui, ché mi sentivo escluso e lui mi diceva “no!” ma non demordevo. E quando finalmente si alzava e se ne usciva quel vecchio catafalco di ebano e avorio tornava ad essere tutto mio. Lo avevano fatto ai primi del novecento, forse in Boemia, mio nonno Luigi Antonio, poeta vernacolare e amante anche della musica, lo aveva visto nel negozio e se n’era innamorato e quando mia nonna lo aveva visto arrivare a casa aveva  sconvolta dal risentimento, allora le spiegai che non avevo fatto quel discorso perché volevo portare mia moglie, anzi, volevo altresì dire che era meglio che le mogli stessero a casa, a meno che non si trattasse di un evento straordinario.

Da un momento all’altro quel voler essere presente a tutti i costi di Mary mi suonava come una cosa disdicevole. “D’altronde, quando voi andate a lavorare in ufficio mica io e Bruno veniamo là e ci mettiamo seduti a guardarvi!” conclusi con tono ironico, e Bruno scoppiò a ridere fragorosamente e mi disse che aveva fatto a Mary quel discorso un milione di volte, ma che nemmeno il padre eterno in persona l’avrebbe convinta a rimanere a casa: “È celosa…” chiosò sogghignante. Lei guardò entrambi con uno sguardo sospettoso e irato, poi mi disse mostrandomi i denti, come la pantera dall’orecchio sbreccato che sembrava sul punto di balzare dal suo angolo per venire a sbranarmi: “Ma che vi siete messi d’accordo quando non c’ero per farmi arrabbiare? E poi, caro mio, anche se non mi crederai, ché non hai il mio fiuto, questo è un evento importante per la vostra carriera! La Serenissima è un circolo prestigioso, frequentato da persone ricche e influenti, me lo ha confermato anche quello stronzo del mio capo, li conosce tutti. Che poi io li odio i ricchi, sono tutti degli ipocriti e si danno tutte quelle arie, tanto veniamo tutti dalla stessa madre. Io sono sincera e quando devo dire a uno: vaffanculo, glielo dico: vaffanculo. Comunque, il presidente sa che ci sarò anch’io, gliel’ho detto e non mi ha fatto problemi, me ne vuoi fare tu? Non puoi immaginare cosa nascerà da questa serata. Quando Bruno canterà Angeli negri tutta quella gente, anche se altolocata e con la puzza sotto il naso, si commuoverà e vorranno sempre voi a suonare là dentro, diventerete famosi in città, non sai quanto lavoro ve ne verrà. Bruno è un fuoriclasse, domani te ne accorgerai, è lui il vero artista, lo dico con tutto il rispetto per te che sei un musicista preparato, però lui è l’attrazione e, se proprio vogliamo essere obiettivi, meriterebbe di guadagnare più di te, senza contare che sono io che ho trovato il lavoro e pure dovrei avere una percentuale… Ma non ti preoccupare, noi siamo persone umili e generose, soprattutto per noi è più importante l’amicizia dei soldi. E poi tu ci metti l’amplificazione, perciò tutto sommato è giusto che guadagnate gli stessi soldi…”.

A quelle ultime parole mi sentii gelare, poi guardai Bruno che mi fece un sorriso rassicurante e, con molto impaccio, spiegai le ragioni per cui ero privo di amplificazione. Le sopracciglia folte di Mary tornarono a volgersi verso il basso, lo sguardo si fece cupo e tempestoso, le labbra si storsero in una smorfia di disgusto e indignazione e mi gridò: “Ecco! Poi dici che devo starmene a casa? E chi vi tutela?”. Lanciò un’occhiata di biasimo anche a suo marito e lui di rimando sorrise serafico, poi continuò: “Io non mi sbaglio mai sulle persone, lo capisci che ho un sesto senso? Ed ho capito appena l’ho visto che Ludo è un delinquente! Come hai potuto farti fregare così! È mai possibile che voi artisti siete tutti così sempliciotti? Quella roba l’hai pagata, lui deve fartela usare, è un tuo diritto! Telefonagli e passamelo, che ci penso io a farlo ragionare!”.

Le spiegai che sarebbe stato un tentativo vano, conoscevo abbastanza Ludo da sapere che non avrebbe mai cambiato idea, anzi, probabilmente vedendo il mio numero non mi avrebbe risposto. Mary allora propose di andare subito sotto casa sua e attaccarsi al campanello fino a quando non ci avrebbe aperto, poi si ricordò di avere il biglietto da visita di Ludo, ché glielo aveva chiesto all’inaugurazione, e lo chiamò. Dopo tre squilli, il silenzio greve che era sceso in quella stanza satura di fumo di sigaretta e di pollo arrostito, fu rotto da quella voce ironica che fra mille avrei riconosciuto: “Sì, chi rompe il cazzo a quest’ora?”. Mary lo aggredì con tono battagliero: “Il cazzo lo hai rotto tu! Pierin ha pagato tutte le rate, perciò la strumentazione è anche sua, devi dargliela! La tua è appropriazione indebita, ti può denunciare! Il mio capo conosce i migliori avvocati, domani ne consultiamo uno. Come chi sono io? Sono diventata la manager anche di Pierin, mio caro, e devo fare i suoi interessi! Ma poi mi domando e dico come si possa essere così stronzi! Tu la serata la puoi fare benissimo da solo, perché ci vieni a togliere il pane di bocca?! Va bene, va, te lo passo…”.

Mary mi pose la cornetta e Ludo mi disse allegro: “Belin, Pierin in che casino ti sei andato a infilare, altro che collaborazione artistica! Comunque, dì a quella pescivendola che può dormire tranquilla, ché l’amplificazione ce l’avrete. Anzi, ce l’avremo. Ho telefonato al presidente, lo sai che è mio amico, mi vuole bene anche se gli faccio sempre il culo a biliardo. Gliel’ho detto che voialtri avete le pezze al culo e mi sono offerto di darvi una mano e lui mi ha detto di formare un trio, che fa più orchestra, altre 150.000 lire per me le trova. Così mandiamo a fare in culo la Gesy, vorrei vedere la sua faccia quando non vedrà arrivare nessuno, sabato. Riferisci alla tua manager la grande notizia e dille anche di non chiamarmi più, perché tanto non rispondo, non sono mica come te che me lo faccio menare il belino, se mai sono io a menarlo agli altri. Ora ti saluto, vado a trombare, io e te ci vediamo mañana, alle sei del pomeriggio, davanti alla Serenissima, così montiamo l’amplificaciòn”.

Ludo buttò giù e Mary ascoltò il mio rapporto con gli occhi spalancati e alla fine esplose: “Ah, ma gliela faccio pagare! Io sono buona e cara, ma se perdo la pazienza è meglio scappare! E anche quell’altro viscido del presidente, là che blaterava che dovevo tenermi bassa con i cachet, “sa, il circolo non ha tanti soldi da spendere per la musica, ci sono troppe spese, l’affitto è alto, quasi cento milioni all’anno, e poi la luce, lo stipendio del barista e i soci sono tirchi, stanno qui a giocare a carte tutto il pomeriggio e ordinano solo un bicchiere d’acqua minerale e per fargli tirare fuori la quota gli devo mandare le raccomandate, sono più di duecento soci, è un salasso…”,mi ha fatto una testa tanta, più sono ricchi e più piangono miseria, soprattutto hanno mille facce, gli avevo chiesto 200.000 lire a testa, perché 150.000 sono poche per musicisti del vostro calibro! E l’impegno dove lo mettiamo? Tutte queste ore di prove chi ve le paga? Bruno si stanca a soffiare in quel tubo, cosa si credono! E invece quel falso ha ingaggiato anche quella testa pelata che non sa nemmeno schiacciare un bottone, per lui i soldi li ha trovati, si sa, sono amici, giocano a biliardo, è una mafia, che schifo! Ma domani mi sente! Anzi, mi sente adesso!”.

Mary afferrò il telefono e schiacciò con violenza i tasti per comporre il numero del presidente, ma dovette fare tre tentativi prima che questi rispondesse. Lei subito lo aggredì: “Pronto, sì lo so che è tardi e sta cenando, anch’io stavo cenando, cosa crede, pure noi poveri mortali abbiamo uno stomaco e sapesse che fatica che facciamo a riempirlo, a guadagnarci il pane onestamente! Però non c’è cosa che rende più felici dell’onestà, cosa crede che invidiamo i ricchi? E anche stasera stavo mangiando bella felice, solo che poi mi è andato il boccone di traverso, perché mi ha telefonato il suo amico Ludo e mi ha comunicato la grande novità del trio, allora mi son permessa di disturbarla, perché non è piacevole vedersi trattare come una suppellettile che uno sposta qua o là, a suo piacimento. Noi, se ben ricorda, signor presidente, avevamo un accordo e lei cosa mi combina? Come si è permesso di formare un trio col suo amico Ludo, mio marito e il nostro tastierista? Non ha pensato che doveva prima consultarmi? Io ci tengo all’immagine di mio marito ed evito certe collaborazioni screditanti. Ma poi, lei mi aveva detto che il circolo non ha soldi e adesso addirittura inserisce un altro elemento? Ma come sarebbe a dire che non siamo mica sposati e se non mi interessa più allora vorrà dire che verrà solo il signor Ludo?! Ma che maniere sono? Noi impegnandoci con voi abbiamo lasciato perdere un’altra serata in cui avremmo preso il doppio di quel che ci date voi e lei sa bene che le sono anche venuta incontro, proprio perché io privilegio la qualità alla quantità e pensavo che anche lei facesse altrettanto. Ludo non sa né suonare né cantare, fa solo un gran casino e basta, e lei lo vuole mettere accanto ad un artista del calibro di mio marito… Va bene! Senta, per questa volta gliela faccio passare, vorrà dire che faremo questo trio come lei desidera! Però non si fa così, noi siamo professionisti seri, se lo ricordo!”.

Riattaccò furente, quasi le fumavano le narici: “Ma in che mondo viviamo! Che modi! Però, avete visto, gliene ho tirate!”.

Bruno a quel punto si alzò e con l’aria assente, disse che andava a comprare le sigarette ed io trasalii pensando che volesse lasciarmi là con sua moglie e non fare mai più ritorno. Mary lo guardò allarmata e gli raccomandò di non perder tempo con i balordi che stavano sempre davanti al bar-tabacchi, di tornare presto, perché c’era ancora da provare e appena lui fu uscito scoppiò a piangere e guardandomi con occhi stavolta pieni di disperazione, mi afferrò le mani e così parlò: “Credimi, non sono una donna possessiva! È che hai visto Bruno com’è? Quando comincia a bere non la finirebbe più! Finita la serata sarebbe capace di andarsi a spendere in una bettola tutti i soldi guadagnati e lasciare anche dei debiti. Lo ha già fatto in passato, cosa credi, anch’io preferivo starmene a casa come tua moglie, dopo una dura giornata di lavoro! E poi, come ti ho detto, Bruno non guida, perché gli hanno ritirato la patente per ubriachezza e resistenza a pubblico ufficiale! Tu non lo hai mai visto veramente ubriaco: ti dico che è tutt’altra persona da quella che hai creduto di conoscere. Diventa violento da far paura, Dottor Jekyll e Mister Hide! È sempre stato uno sbandato, era finito tra le grinfie di una vecchia di Manesseno, piena di soldi, aveva tre negozi di parrucchiera, la quale, fino a quando si è voluta divertire lo ha mantenuto, poi, da un giorno all’altro, gli ha dato un calcio in culo e lo ha ributtato in mezzo alla strada. E Bruno ha avuto la fortuna, perché io sostengo che è nato con la camicia, che un suo amico, si chiama Ignazio, gli ha permesso di andare a dormire nel magazzino della sua ditta, in cambio di qualche lavoretto. Ma Bruno non è fatto per fare un lavoro come tanti, è un artista nato, tu puoi capire, anche se non sei irrequieto come lui, non poteva durare e ha avuto anche la fortuna di incontrare me, che ne venivo da un matrimonio fallito e per distrarmi la sera uscivo con un’amica, ché io prima non ero mai andata da nessuna parte. Anche mio marito era alcolizzato, tutti a me capitano, mi picchiava, me ne ha fatte di tutti i colori, oltre alle botte tradimenti, mi ha rubato tutti i soldi che avevo messo da parte con tante privazioni. Avevamo un bar, io lavoravo e lui andava a spendersi i soldi, il bar aveva cominciato ad andare, grazie a me naturalmente, giravo in Mercedes… Ma lui ha esagerato con i vizi, giocava pure, e l’ha fatto fallire e ho dovuto pagare tutti i debiti, sono rimasta con una mano davanti e una dietro. L’ho sopportato per anni, i figli erano piccoli e non me la sentivo di sfare tutto, poi un bel giorno ho detto basta e mi sono fatta coraggio e ho divorziato, i miei due figli erano cresciuti e si erano trovati un lavoro. L’istinto mi diceva di stare da sola, in pace, tanto so badare a me stessa, non ho mica bisogno di essere accudita. Però, alla lunga mi pareva di non esistere, ho cominciato a uscire, ad andare per locali, non lo avevo mai fatto prima, nemmeno da ragazza e una sera ho visto Bruno e mi sono innamorata del suo sorriso, ma soprattutto di come suona il sassofono. E poi è un bonaccione e non farebbe male a una mosca, anche un bambino potrebbe approfittarsi di lui, gli basta suonare e bere birra ed è felice e se solo non gli facesse male gliene farei bere a litri. Invece devo stare di guardia come un carabiniere, dormo con un occhio chiuso e uno aperto, perché quello è capace di svegliarsi nel cuore della notte ed uscire anche solo per andare a prendere una boccata d’aria alla luce della luna. Ho preso apposta il cane, perché quando lo vede camminare per casa abbaia e io mi sveglio, sapessi quante volte l’ho fermato sulla soglia della porta di casa che voleva uscire così come stava, con la vestaglia, diceva che gli era venuta l’inspiraciòn. Sai bene che una coppia per funzionare bisogna che almeno uno dei due sia intelligente. Ecco, io sono intelligente e lui è un fessacchiotto, ma gli voglio bene perché mi ama, e questo è già tanto, credimi, mi consola di tutto. Cosa dicono i figli? La femmina non c’è male com’è, si sa che le femmine sono più affettuose, il maschio invece è contro di me, tiene per suo padre, quando mi sono messa con Bruno non mi voleva vedere più, una sera ci siamo presi e mi ha sputato in faccia…”.

Mi lasciò le mani, si accasciò sul tavolo e si abbandonò al pianto, ma per poco, si riscosse e si asciugò le lacrime e si soffiò il naso, poi mi disse mestamente: “Vabbè, adesso pensiamo a fare questa serata e vedrai che Bruno lascerà il segno anche se ci sarà Ludo a rovinare tutto e il presidente vedrà bene che quel testa pelata ci cresce e sarà costretto a chiamare soltanto noi a furor di popolo. Ma io non me ne starò certo ad aspettare che lui ci dia altre serate, già da domani mi metterò in moto per contattare nuovi posti dove suonare. Soprattutto mi darò da fare per procurare mixer e casse, così non dovremo più sottostare ai ricatti del tuo socio, che spero manderai a fare in culo già da domani. Ci rimarrà di sasso quando saprà che siamo attrezzati, non potrà più ricattarti. Anzi, visto che ti ho parlato di lui, adesso chiamo Ignazio e vedrai che almeno un problema lo risolvo subito. Ah, guarda, dopo avere subito per metà della vita, sono diventata che non mi faccio più problemi per nessuno…”. Afferrò l’agenda, la sfogliò finché trovò il numero di Ignazio e subito lo compose nervosamente sulla tastiera del telefonino e anche allora dovette fare tre tentativi prima che Ignazio rispondesse: “Pronto, ciao! Sono Mary! Sì, lo so che è tardi, anch’io mi alzo presto la mattina, cosa credi! Ma ti chiamo perché ho un problema urgente per Bruno e tu sei suo amico, lo hai aiutato tanto e perciò chiamo te e non un altro. Anche Bruno ti è amico, tu lo ospitasti nel tuo magazzino, ma lui lavorò per te gratis, e certo non si sognerà mai di andare a dire a qualcuno che lo hai sfruttato approfittandoti del fatto che non sapesse dove andare. No, ma che discorsi, ti sto dicendo appunto che Bruno non farebbe mai una cosa simile, proprio a te, poi, che ti considera già un fratello. Il fatto è che adesso c’è un problema grosso, perché finalmente all’orizzonte c’è del lavoro per noi e abbiamo un bravo tastierista che per ragioni che un giorno ti dirò non può disporre della sua amplificazione. Ora, per domani abbiamo risolto in qualche modo, ma dobbiamo sottostare a dei ricatti che alla lunga ci recherebbero un danno enorme, perciò mi son detta: telefono a Ignazio e l’amplificazione la potrebbe comprare lui. Anche tu suoni, sia pure per diletto, un mixer e due casse ti potrebbero servire se volessi suonare con i tuoi amici. Si tratterebbe solo di prestare a Bruno la strumentazione in attesa che lui si possa comprare la sua. Faresti un’opera buona e ti ritroveresti più avanti un oggetto con cui divertirti. Come dici? Ah! Non avevo dubbi sulla tua bontà e intelligenza!”. “Ma perché quello non arriva? Si sarà mica fermato con quei ceffi…” e compose nervosamente il numero di Bruno, il quale non rispose e percepii fin nelle midolla tutta l’ansia che mai cessava di quella donna, che continuava a grattarsi la testa. Adesso che l’odore del pollo era scemato, a parte quello di tabacco, sentivo anche un puzzo provenire dalla sua persona e pur non volendolo feci una smorfia di disgusto, lei se ne avvide e si affrettò a dirmi vergognosa: “Sì, perdonami, purtroppo non mi lavo da un bel po’ perché non posso: per il nervoso che mi faccio tutti i giorni, tra il mio capo e i problemi che mi dà Bruno, sono affetta da una grave forma di psoriasi; io ci provo a stare calma ma non ci riesco, sto sempre a rimuginare, ad analizzarmi, non mi do pace…”. Stava per scoppiare di nuovo in lacrime, ma il cane abbaiò e ricomparve Bruno, lo vidi immobile come una statua, sulla soglia della porta, e ci guardava con occhi inespressivi. Mary mi sussurrò con tono da cospiratrice: “Mi raccomando, non dirgli niente di tutto quello che ti ho raccontato…”. Poi si precipitò incontro a suo marito e sentii che sussurrava qualcosa anche a lui.

Ricominciammo le prove e con il favore dei ritmi latini l’atmosfera si mitigò un po’, anche se Mary continuava a grattarsi la testa e a scrollarsi i capelli a destra e a sinistra, e a fumare nervosamente una sigaretta dopo l’altra e a battere il piede a terra, la fronte aggrottata, gli occhi assenti, come attraversati da un’interminabile serie di scene incresciose, e una smorfia sofferta che le tirava tutto il viso. Quando finalmente lasciai quella casa respirai l’aria satura di miasmi chimici di Cornigliano, nell’antico viale di palazzi antichi, un tempo superbi ma ora fatiscenti, in quell’atmosfera d’abbandono pensai che la vita fosse sogno e che il sogno fosse la realtà dove, per un perfido incantesimo, non riuscivamo più a rientrare.

Ludo ed io ci incontrammo il giorno dopo, come d’accordo, alle sei del pomeriggio, sotto il portico di uno dei grandi edifici di Piazza della Vittoria. Il circolo stava al piano ammezzato e dopo averli tirati fuori dalla vecchia Espace, accatastammo tutti gli strumenti nel grande montacarichi, che il portiere, amico di Ludo, ci aveva aperto contravvenendo alle regole del condominio. Era un’ampia stanza cintata da una griglia di metallo, ci mise un’eternità a salire quel piccolo dislivello e a momenti morivo di paura. Ci ritrovammo in un appartamento immenso; già l’ingresso era una specie di piazza d’armi e incuteva soggezione, illuminato da luci potenti che riverberavano sul pavimento di marmo bianco lucido. Di fronte alla porta si apriva un corridoio lungo e largo in fondo al quale si trovava il bar, con il cameriere dietro al banco, in camicia bianca, gilet bordeaux e papillon; guardava torvo i soci seduti ai tavoli verdi, intenti a giocare a carte, ciascuno con la sua tazzina di caffè e il bicchiere alto e sottile pieno per metà di acqua minerale.

Sul lato sinistro del bar c’era un’altra grande stanza, anch’essa adibita al gioco, con il tavolo da biliardo, mentre sul destro si apriva un altro corridoio che si addentrava all’interno e lo imboccammo carichi delle nostre robe; dai grandi finestroni si scorgeva la piazza sottostante zeppa di automobili in sosta e si udiva il rumore ovattato del traffico e mi stupii una volta di più nel pensare che quello era il mio lavoro. Ma era davvero un lavoro, o un’elemosina elargitami con una sorta di sadismo da gente che non sapeva come passare il tempo, in cambio di un atto di umiliazione, come sosteneva mia madre? Quando entrai nell’immenso salone trasalii di gioia vedendo un pianoforte a mezza coda sistemato ad un lato del palco. C’erano tantissimi tavoli ed erano già stati tutti apparecchiati per la cena e un signore anziano distinto, basso e impettito sulle punte dei piedi come se si sforzasse perennemente di sollevarsi da terra più che poteva, rimirava quell’operato con aria soddisfatta e orgogliosa. “E alua, facciamo una partitina?!” gli gridò Ludo e l’uomo trasalì, si voltò a guardarci e scosse la testa e venne verso di noi. Ludo me lo presentò tra il serio e il faceto, era il presidente e io naturalmente evitai di dirgli che avevo assistito al colloquio telefonico che aveva avuto con Mary. Quando si rivolgeva a me era molto compito, sfoderava il suo miglior italiano, con Ludo invece si esprimeva esclusivamente in genovese. Ludo subito gli dispensò consigli: “Per stasera ci facciamo due ghignate e va bene, ma poi a quella lavandaia e al suo consorte ghe dimmo che se levan d’inti pë, a meno che tu non abbia deciso di far scappare tutti i soci. Bisogna invece che sunemu sempre io e u Pierin, ché di ragazzi splendidi come noi non ce n’è!”.

Il presidente gli disse che aveva già deciso che quella sarebbe stata la prima e ultima serata per quei due, gli raccontò che l’indiana gli aveva telefonato all’ora di cena e lo aveva insultato e Ludo si voltò a guardarmi e mi disse con tono risentito: “Belin, non me l’avevi detto”. Il presidente mi rivolse uno sguardo di apprezzamento. Poi ci spiegò che non poteva darci tutte le serate, perché almeno due volte al mese doveva fare esibire il magico duo Pino & Roberto. Io non li avevo sentiti mai nominare, Ludo invece li conosceva bene e subito espresse il suo parere su di loro: “Non solo non sanno suonare, sbagliano anche a fare finta, schiacciano le note acute quando la base sta sui bassi e viceversa. E poi hanno una voce da besagnini, stonati come tutto, vanno fuori tempo e non sanno l’italiano. Manco alla sagra di Torrazza ho sentito una roba simile”. Il presidente replicò con fermezza: “Sì, ma Pino e Roberto piacciono perché hanno un bel repertorio e poi anche ti non ti suonni, Ludo, fai finta su quella tastiera, anche se lo fai bene, ti credi che siam scemi? Ti conosco da quando avevi le braghe corte, sei sempre stato un arrangione, dai, su”. Ludo, tra l’ironico e l’offeso, precisò: “Arrangione perché faccio dei begli arrangiamenti. Io gli accordi sulla tastiera li so mettere, elementari quanto vuoi ma giusti. Faccio finta di suonare perché non ne ho più voglia di studiarle, per la miseria che ci date, ma poi cantare e suonare assieme è difficile. Apposta mi porto Pierin, a suonare ci pensa lui, è il più bravo. Ora si siede al pianoforte e ti darà un saggio del suo talento”. Mi ordinò di suonare “Il nostro concerto” ed io, che non vedevo l’ora di mettere le mani su quel meraviglioso strumento, lo eseguii alla perfezione e con sentimento, davanti allo sguardo esterrefatto del presidente, vidi che gli vennero gli occhi lucidi e alla fine esclamò con la voce rotta dalla commozione: “Ma che bravo che sei Pierin! Questa è la canzone con cui io e mi moggê ci siamo innamorati! Qui son venuti in tanti ma nessuno ha mai suonato il pianoforte, non ci si azzardano perché sanno che la loro ignoranza viene fuori. Pierin, lei è un artista vero! Stasera “Il nostro concerto” lo deve dedicare alla mia signora, chissà come sarà contenta!”. Ludo interloquì: “Stai attento che poi si innamora! Credevi che ti contassi delle musse? Fai una bella cosa, te lo dico da amico: telefona all’indiana dille di starsene a casa, lei e il suo pifferaio magico, sei ancora in tempo ad evitare un disastro. E avvisa anche quei due sciacchèli di Pino e Roberto che hanno finito qui. Dai, La Serenissima è sempre stato il fiore all’occhiello di Genova, non puoi farci venire gli scabeci”. Il presidente ribatté con sussiego: “Ho dato la mia parola d’onore, Ludo, tu mi conosci, anche se mi son pentito. Perciò stasera suonerà il trio, abbiamo anche esposto la locandina. E ho dato la mia parola anche a Pino e Roberto, non è solo perché se no i soci mi mugugnano che li farò suonare. E poi mi prendono poco”. E Ludo disse: “Ah, ecco!”...

Arrivai per primo, alle 8 e 30, e nel salone i soci stavano già cenando, c’era fermento, era tutto un tintinnio di piatti e bicchieri e un vocio concitato, i camerieri andavano e venivano portando piatti, bottiglie e vassoi. Le signore avevano tutte il vestito lungo, tutti gli uomini indossavano lo smoking, il presidente addirittura il frac, aveva un’aria solenne e fiera, girava fra i tavoli dispensando a tutti parole e sorrisi. Vidi arrivare Ludo ed ebbi un tuffo al cuore, il suo sorriso beffardo non prometteva niente di buono. Aveva con sé la chitarra ed era elegantissimo come non lo avevo mai visto: “Vieni Pierin, che stasera faccio vedere io al presidente chi sa suonare”. Lo aspettai e ci addentrammo assieme tra i tavoli distribuendo saluti a destra e a manca. Una signora tutta ingioiellata ci fece segno di fermarci e ci disse: “Ma io vi conosco! Suonavate in quel bel ristorante in Corso Italia che poi però il gestore è morto, meschino, era tanto una brava persona! Sono proprio contenta che stasera suoniate voi, siete così simpatici!”. Ludo sfoderò il suo sorriso a trentadue denti e rispose alla signora: “Sì, come musicisti non valiamo un cazzo, però siamo di compagnia. La signora rimase interdetta e intervenne suo marito: “Mi raccomando di fare un programma bello almeno come quello di Pino e Roberto”. Ludo ribatté ridacchiando: “E chi sono? Tra poco arriva un grande sassofonista assieme a sua moglie, altro che Pino e Roberto! Vi passerete una serata meravigliosa!”. Sudavo freddo e volevo andarmene, di colpo mi sentivo come in trappola. Il presidente si era appena seduto a mangiare, ma quando ci vide si alzò, si tolse il tovagliolo dal collo e ci venne incontro a passi piccoli e frettolosi, con un’espressione preoccupata. “Ludo mettetecela tutta stasera, perché se piacete potreste suonare sempre voi, la sai la novità? Pino e Roberto si sono divisi, ché erano gelosi l’uno dell’altro!”.

Ludo scoppiò a ridere e ribatté: “Belin che notizia! Manco si fossero divisi i Beatles! Ma lo sapete che mi avete rotto i coglioni con quei due scappati di casa?”. Voltò le spalle al presidente, salì sul palco, tirò fuori la chitarra e cominciò a sistemare le sue cose. Il presidente mi guardò dritto negli occhi e mi disse accorato: “Pierin, lei mi sembra l’unico dotato di discernimento, mi raccomando, suoni valzer, polke e mazurke, qualche fox, e poi, verso la fine deve assolutamente eseguire “Il nostro concerto” e ci tengo che lo dedichi a mia moglie da parte mia, lo deve dire al microfono! Mia moglie non sa nulla, non gliene faccia cenno!”. Raggiunsi Ludo, il suo telefono trillò e lui dopo aver guardato il display ebbe un moto di riso: “E nu! Nu venio!” disse divertito, spense il telefono e poi mi disse: “Gesy. È là che mi aspetta, ci sono due sue parenti venuti apposta per sentirmi. Gli metterà i dischi”.

In quel momento vidi arrivare Bruno e Mary, con uno strato di cerone sul viso molto più spesso dell’altra volta, passavano attraverso i tavoli come tra le onde di in un mare agitato. Lui si era messo una giacca rossa e il papillon nero, aveva un’andatura dinoccolata, rivolgeva un sorriso a trentadue denti in tutte le direzioni; lei era vestita di nero, accigliata, e camminava curva, ché portava due borse di tela blu, con dentro il sassofono, il leggio, l’asta microfonica, le maracas e il tamburello che suonavano ad ogni suo passo. Tutti si girarono a guardare con curiosità frammista a sconcerto lei e quelle masserizie e lei tirava dritta senza salutare. Ludo borbottò: “Belin, manco gli zingari vanno in giro cuscì”. Salita sul palco, Mary aprì le borse e cominciò a montare la roba del marito; mi salutò a malapena e non salutò Ludo, il quale, intanto che accordava la chitarra, le rivolse un sarcastico “buonasera”.

La tensione era intollerabile, ero agitato. Arrivò anche il presidente, più agitato di me. Guardò Ludo e Mary fugacemente e con aria preoccupata e Mary gli lanciò uno sguardo torvo. Bruno invece gli si accostò e lo apostrofò con uno tono cordiale e il presidente dovette capire che era alticcio perché trasecolò: “Señor presidente! Yo me siento mucho honrado de acer el suo conocimiento en persona!”. Ludo si voltò inarcando il sopracciglio e disse a Bruno: “Ma parla come mangi!”. Bruno non si scompose e il presidente fece un cenno imperioso a Ludo di tacere, poi disse a Bruno: “Bene, signor Bruno, sua moglie mi ha detto meraviglie di lei. Faccio appello alla sua… professionalità e auguro buon lavoro a tutti, mettetecela tutta, i nostri soci sono molto esigenti”. Bruno gli rispose con tono ironico che anche lui, in quanto artista vero, era molto esigente e il presidente, piccato, si rivolse a Mary a denti stretti e con ironico sussiego: “Signora, i miei rispetti”. Mary ribatté aggressiva: “Se mi fa avere il borderò SIAE lo compilo mentre i musicisti suonano, così alla fine si trovano un lavoro fatto. Sa com’è, io non sono capace di starmene con le mani in mano, sono una a cui piace lavorare, è il mio più grave difetto… Però non crede che avrebbe dovuto farmi trovare un tavolo e una sedia su cui potermi sedere? Mi aspettavo da lei, che è così esigente, un’organizzazione migliore. Poi, se devo passare la serata in piedi me lo dica..”. Man mano che parlava alzava il tono di voce e il presidente sbottò spazientito, mentre Ludo sogghignava: “Mi dispiace signora, ma non è cattiva organizzazione, francamente non ci aspettavamo che venisse anche lei, non è uso che i musicisti si portino dietro le mogli”. Mary urlò: “Ma io non sono una qualunque, sono la manager di mio marito e lei lo sapeva sin dall’inizio che sarei venuta. Non ne avevamo mai parlato perché era sottinteso, che diamine, un po’ di comprendonio! Che modi sono questi?”.

Il presidente replicò freddamente: “Tra l’altro, sarebbe stato più elegante se anche suo marito fosse venuto ad allestire la sua strumentazione alle sei, come hanno fatto Ludo e Pierin, passare davanti alla gente con tutte le masserizie non è bello”. Mary replicò: “E certo! Deve sembrare che i musicisti vengano qui a divertirsi e non che si guadagnino il pane col sudore della fronte, so come siete fatti voi ricchi”. Percepii tutto lo sforzo che il presidente fece per mantenere la calma: “Comunque, qui le regole sono chiare e logiche, ed è anche questione di sicurezza: i musicisti hanno a disposizione solo il palco, coperto da assicurazione, sul quale si esibiscono al meglio delle tre ore”. Ludo interloquì: “E devono venire già mangiati”. Mary si affrettò a dire che non era venuta certo per mangiare e il presidente le disse di non tenere in considerazione le parole di Ludo, poi, visibilmente affaticato, continuò: “Alla fine della cena i musicisti faranno una pausa e prenderanno una consumazione gratuita al bar e poi torneranno a suonare, e smonteranno la strumentazione solo quando i soci se ne saranno andati. Ma tutte queste cose lei dovrebbe saperle, cara signora, visto che è una manager. Al bar ci sono i tavolini da gioco, perché non va lì a sedersi e ad aspettare che suo marito finisca?”.

Mary trasalì, poi fece una smorfia disgustata, non mi sarei meravigliato se avesse sputato per terra. “Ma io a sedermi al bar non ci vado! Stiamo scherzando? Anzi ci andrò a prendermi una sedia e me la sistemerò qui vicino al palco e me ne starò qui buona buona, le giuro su mia madre buon’anima che non mi metterò le dita nel naso e non vi chiederò nemmeno un caffè”. Ludo interloquì: “Sai che bellezza per tutta questa bella gente vedersi davanti tutta la sera una con la faccia dipinta di cerone che ti guarda in cagnesco”. Mary stava per replicargli, ma il presidente le fece cenno di calmarsi, poi le disse con ironia tagliente: “Signora, le faccio portare subito un tavolo e una sedia, figuriamoci se la lascio in piedi! Era solo per ricordarle che qui ci sono delle regole, se per lei non contano niente è lo stesso. E si prenda pure un caffè, offro io!”. Ludo gridò: “Belin, viene a piovere!”, e il presidente gli bofonchiò qualcosa che non capii, ma di sicuro era un rimbrotto, dopodiché si allontanò col suo solito passo frettoloso, fermò un cameriere e gli parlò con fare imperioso e quello guardò dalla nostra parte annuendo poi si dileguò e dopo un po’ ricomparve con un tavolo da gioco e lo sistemò ad un lato del palco. “Se ti portano anche le carte fai un solitario” disse Ludo ridendo. Intanto si era levato un brusio che diventava sempre più intenso, la gente guardava tutta dalla nostra parte, una signora disse: “ma quel tavolo verde messo lì sta male!”, un’altra domandò: “Ma la signora poi canta?”, un signore spiegò: “No, è la moglie del sassofonista, gli fa da manager e gli va sempre dietro”, una terza chiese: “Ma sono gitani?”, e ancora “Da dove vengono?”, “Non li ho mai visti!”. Arrivò un altro cameriere, con una sedia da ufficio e il borderò SIAE e Mary finalmente poté sedersi, si accese subito una sigaretta e ordinò al cameriere di portargli un posacenere. Poi cominciò a grattarsi e a scrollarsi i capelli, e chiunque la guardasse rivolgeva uno sguardo feroce. Ludo disse a Bruno con tono serio: “Stammi a sentire, ché qui la situazione è già degenerata che la metà bastava: non fare lo splendido perchè questa gente non ha pagato il biglietto per venirti a sentire. Noi siamo pagati per accontentare questa gente e questi vogliono mangiare bene spendendo poco e ravanare quel poco che c’è rimasto prima che il sipario cali definitivamente. Perciò, facciamo che io ne canto due e nel mentre tu stai zitto, così gli diamo un po’ di respiro; poi ne suoni una tu, ma roba tranquilla, così ti sfoghi e intanto io me ne fumo una. E siccome vedo che sei pure mezzo ‘mrbiego, ti raccomando di non suonare forte, perché il suono della tua trompete è come una lama che ti entra nella testa e non vorrei mai che si rompesse qualche apparecchio acustico. Ecco, credo che se andiamo avanti come ti dico almeno fino alla fine della cena, dovremmo contenere i danni. Poi, quando inizieranno le danze, faremo alla reversa, cioè che tu ne suonerai due e io ne canterò una e poi ci fermiamo tutti e due e Pierin suonerà i valzer e le mazurke. E non suonare solo roba sudamericana, fa angùscia e ormai ha rotto i coglioni. E soprattutto quando canto, mi raccomando, suona poco, piano e soltanto se conosci bene la canzone, ché se mi fai firulì, firulà mi viene il nervoso e se stecchi mi mandi fuori e quando ci tirano una gnera ci tocca di tenercela”.

Così parlò Ludo e Bruno gli sorrise sardonico e rispose: “Sì, esimio signor direttore artistico”. Ma quando Ludo attaccò la prima canzone, subito cominciò a fare note di contorno, talmente banali che pareva più uno sfottò, in pratica era un interminabile assolo che si sovrapponeva al canto e rendeva tutto incomprensibile. Quando arrivò il suo momento, Bruno non solo soffiò più forte ma cominciò a girare per i tavoli facendo la risata col sassofono e la gente rimase perlopiù perplessa, soltanto qualcuno rise e applaudì, e quando Bruno si avvicinò a un tavolo guardando gli anziani coniugi con aria complice, vidi lei che, con un sorriso impacciato, mise la mano sul piatto per parare gli sputacchi. Bruno tornò sul palco e voleva suonarne un’altra, disse a Ludo che il pubblico si stava scaldando e se avesse smesso si sarebbe raffreddato. Ludo si oppose e Mary gridò a Ludo: “lascilo esprimere! Lui è un artista, mica come te che lo sei solo per finta!”. Quindi mi ordinò di dirgli il titolo di ogni brano ogni volta che lo finivamo: “Così lo scrivo sul borderò e andiamo prima a casa!”. Stava sempre con l’occhio vigile sulla sala e su di noi, in specie su Ludo, decisa a difendere suo marito da censure ed altri soprusi. Non so come arrivammo fino alla fine della cena, ma quando scendemmo dal palco capii che sarebbero sorte altre criticità. Mary si accodò a noi mentre ci dirigevamo al bar, sentivo il suo tanfo, ormai inconfondibile, Ludo accelerò il passo e sparì tra la folla. Oltre al caffesito, che fece correggere con la Sambuca, Bruno chiese una birra se la scolò in un baleno, poi ne ordinò un’altra. Si avvicinò una signora dalla folta chioma rossa, che apostrofò Bruno con aria ammiccante: “Mi scusi, ma lei è sudamericano? Da dove viene!”. Prima che Bruno rispondesse Mary le disse a muso duro: “Abbiamo capito che ti piace mio marito. Sì, è sudamericano e io vengo dall’India e lui è innamorato pazzo di me. Hai problemi?”. Mi dileguai nella stanza del biliardo e vi ci trovai Ludo con il presidente che lanciavano le boccette e Ludo gli spiegava con fare da professore. Non trovai di meglio che tornare al palco e sedermi al pianoforte e non appena ci misi le mani sopra mi calmai, mi estraniai e quando riaprii gli occhi ero in mezzo a un capannello di gente ammirata: “Questo qui suona veramente, altro che Pino e Roberto!” disse uno. “Mai sentita una cosa simile! Che bellezza!” disse una signora.

Ma il mio momento di gloria durò poco, la pausa appena cominciata era già finita e prima di ricominciare a suonare c’era da dare assistenza tecnica al signor Guerra, mitico organizzatore delle eliminatorie di “Miss Italia” in Liguria, il quale, come di consueto, doveva comunicare ai soci i prossimi eventi organizzati dal circolo. Ludo lo annunciò con tono sarcastico: “Signore e signori, adesso parlerà colui che in vita sua di mussa ne ha vista tanta ma non ne ha mai presa!”. Ci fu un “Oh!” di sconcerto, Guerra trasalì stizzito, vidi il presidente sobbalzare sulla sedia e mi preparai al peggio. Ma poi Guerra mantenne la calma e svolse il suo ufficio perfino con il sorriso sulle labbra. Alla fine del suo discorso mi decisi e partii con il Valzer Imperiale, durava molto e pensai che così almeno un po’ avremmo accontentato i soci; i quali si alzarono tutti assieme dai tavoli e subito si formarono le coppie e fu una visione d’altri tempi. Il presidente passava spesso rasente al palco facendo girare sua moglie e mi faceva segni di assenso; allora presi coraggio e appena terminò il valzer attaccai una mazurka. Ludo e Bruno mi guardarono con disappunto e Mary mi gridò: “Non fare di testa tua, se Bruno si incazza poi vedi!”. Bruno mi ordinò di accompagnarlo e cantò “A mi manera”, era tutto sudato, con quella giacca rossa sembrava davvero un cantante sudamericano. Poi Ludo cantò “Più bella cosa” e i soci tutti cominciarono a protestare perché volevano ballare, ma ormai era un duello tra i due cantanti e dopo che Bruno ebbe eseguito “Angeli negri”, siccome tutti applaudirono entusiasti, Ludo rispose con il suo cavallo di battaglia: “Unchained Melody”; allora tutti i soci si sedettero in cerchio ad ascoltare e nonostante i chiari gesti di Ludo, Bruno continuò con le sue note di contorno, più puerili e barocche che mai. E fu nel ritornello finale che Ludo, d’improvviso, schiacciò il pulsante STOP, si girò verso Bruno e gli disse, bene amplificato dal microfono: “Ma lo sai che hai proprio scassato la minchia con questo cazzo di bombardino?”.  A questo punto scoppiò il parapiglia e mentre in molti si diedero da fare per separare i due rivali che volevano azzuffarsi, io attaccai “Il Nostro Concerto”. Il presidente subito si avvicinò al pianoforte con sua moglie che aveva lo sguardo commosso, mi tese la mano in cui stringeva due banconote da 10.000 lire, che mi passò quando gliela strinsi, poi mi strizzò l’occhio e mi sussurrò: “Intanto tenga questi e capirà perché glieli ho dati quando tra poco verrà con i suoi colleghi di là in presidenza, per regolare i conti. Domani mi telefoni, Pierin, che parliamo delle prossime date, lei è piaciuto molto ai soci, perché ha il repertorio giusto ed è umile. Peccato che non canti, ma va bene lo stesso, dei grandi cantanti possiamo pure fare a meno, ascolteremo quelli veri alla radio. Mi raccomando, acqua in bocca”.

La presidenza era un ambiente austero, con una grande scrivania e una libreria farmacia, un angolo allestito a salottino, con un divano, due poltrone e un tavolinetto nel mezzo, e giusto quattro sedie da ufficio dove io e gli altri ci sedemmo, di fronte al presidente, assiso sul suo scranno come un giudice, il quale, dopo avermi dato il borderò da firmare, disse con gravità: “Questa serata è stata un disastro come non ce ne sono mai stati qui, almeno che io ricordi. Ma la colpa è soprattutto mia, che ho messo due galli nello stesso pollaio”. Mary interloquì: “Meno male che lo riconosce che la colpa è sua”. Il presidente replicò con tono autorevole: “Vede, signora, avrei da dirle tante cose, ma gliene dirò solo una: lei mi dice che è una lavoratrice, che non sa stare mai con le mani in mano, come se io avessi passato la mia vita a fare niente e i soldi che ho mi fossero piovuti dal cielo. E mi dice che suo marito si sfinisce a soffiare nel tubo. Ebbene le racconterò soltanto di quando mi portarono a bordo di una petroliera piena di greggio, alla deriva al largo dalla costa di Barcellona, col mare forza 9, ché c’era stato un blackout. Prima tentarono di portarmici con un tender, ma a momenti si capovolse e allora mi ci portarono su un elicottero e mi calai con la fune e dopo due ore di lavoro, in sala macchine, col rischio di rimanerci attaccato, riuscii a riparare il guasto e ad evitare il disastro. Quindi non mi venga a fare la lezione di vita…”. Intervenne Ludo: “Belin, racconta anche di quella volta, nel 1917, sulle Ardenne...”. Il presidente gli gridò: “E nun fa sempre u scemmu, stanni zitto!”. Poi aprì il cassetto e tirò fuori un mucchio di banconote, le contò con calma e diede 200.000 lire a Ludo e il resto a Mary, la quale, dopo aver dato una rapida scorsa a tutte quelle banconote subito gridò al presidente: “Intanto mi dica perché al signor Ludo ha dato 200.000, anziché 150.000! E poi perché a me ha dato 260.000 lire da dividere tra i due musicisti!”. Il presidente si appoggiò alla spalliera, incrociò le mani sulla pancia e spiegò serafico: “Pur non avendone l’obbligo, le dico che io e questo personaggio – indicò Ludo che sorrise soddisfatto e continuò – cui purtroppo, non so perché, voglio bene, ci conosciamo da una vita e a lei di quelli che sono i nostri rapporti non deve interessare. Pensi a quanto pattuito tra me e lei e basta. E a questo proposito le dico perché ho ridotto i cachet, signora cara: come le ho già detto, le regole sono chiare: i musicisti hanno diritto a una consumazione gratuita. UNA. Se poi si bevono il bar è chiaro che pagano come tutti gli altri”. Ludo disse al presidente: “A ‘sto punto ti conviene far venire il grande sassofonista tutte le sere, ché nessuno di quegli spendoni consuma così tanto”. Mary si morse le labbra, lanciò a suo marito un’occhiata torva, poi mi consegnò 130.000 lire e le altre se le mise in borsa. “Ah, quindi metà delle bevute di suo marito le paga Pierin, che ha bevuto solo acqua minerale? Le sembra giusto?” osservò il presidente e mi strizzò l’occhio, badando di non farsi notare: “Sa com’è, sono io che ho trovato questa serata, lei lo sa bene, e non ci guadagno niente, come vede. Qui sono tutti testimoni dei soldi che m’ha dato. Quindi mi pare giusto che due musicisti che suonano assieme dividano gioie e dolori”. Il presidente concluse: “Quindi l’ingiusto sono io. E va bene, mi dispiace solo di scadere nella stima di Pierin, è un ragazzo che merita. Arrivederci”.  Io firmai il borderò e mi accorsi che molti titoli erano scritti in modo sbagliato: “Filin”, “Sexy-bon” ecc.  L’ultima mezz’ora, dedicata a smontare la strumentazione, fu penosa, passata in un silenzio greve, in cui Bruno, seduto su una sedia beveva ancora una birra, pagata direttamente al barista, e noi tre lavoravamo. Mary ogni tanto lanciava sguardi torvi indagatori ad ognuno di noi. Terribili furono i momenti passati nel montacarichi che scendeva lentamente trasportando noi e tutte le masserizie. Bruno e Mary si dileguarono immediatamente nella notte. Anche Ludo aveva fretta di andarsene ma prima tenne a dirmi: “Adesso finalmente avrai capito perché i musici non si daranno mai una mano tra di loro. Il presidente mi ha detto che d’ora in avanti chiamerà solo te e ti darà 200.000. Ti dico di andarci pure senza farti problemi con me, che non me ne frega un cazzo, vorrei tanto smettere; ma non stare a dirlo a quei due, fatti furbo. Ovvio che potrai usare la strumentazione, ci mancherebbe. Ah, dimenticavo: il presidente a me ha dato 200.000 lire perché me ne doveva 50.000 da tempo immemorabile e gli ho detto di darmele davanti a quella sguattera per farla incazzare. Ciao”.  Lo vidi allontanarsi nell’immensa piazza deserta finché scomparve dietro l’angolo di uno dei tanti palazzi silenti. Mi sentii mancare, come se con lui se ne fosse andata una parte di me. Aveva detto “i musici”, non “noi musici”, e che potevo andare pure da solo, voleva smettere. Chi era Ludo? La piazza mi atterriva. Non c’era una sola automobile, mi sembrava di essere stato risucchiato nelle “Muse inquietanti” di De Chirico. Era sogno o realtà? Toccai le 150.000 lire che avevo in tasca: sembravano reali. Mi avviai a casa sperando di riuscire ad arrivarci e di svegliarmi…