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Prof. Becchi: la filosofia della (presunta) corruzione. Per Toti carriera già finita

Giovanni Toti (foto d'archivio)

Il punto che oggi sollevo mi attirerà un sacco di critiche, forse me le merito anche, ma consentitemi di esprimere quello che mi frulla per la testa in questo momento in cui la mia regione, ma anche la mia città, è travolta da un caso politico-giudiziario di cui tutti parlano e parleranno ancora a lungo, perché siamo solo agli inizi.

Sto ovviamente parlando degli arresti domiciliari del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Non intervengo nella vicenda giudiziaria, ho già detto su queste pagine quello che penso sulla decisione, a mio avviso, molto discutibile dei magistrati genovesi della necessità, in questo caso, degli arresti domiciliari.

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Oggi vorrei invece fare un discorso schiettamente filosofico che può certo essere letto come una provocazione, ma che spero possa fare riflettere. Non pretendo di aver ragione, anzi sono pronto a rivedere quello che scrivo se qualcuno mi farà osservare dove sbaglio.

Ripeto, non ditemi che c’è il Codice penale e che questa è corruzione, perché il problema che pongo è un altro e precisamente il seguente: la (presunta) corruzione in una sua forma debole come quella di un (presunto) scambio di favori tra il pubblico e il privato è dannosa all’economia o non permette, semplicemente, di “oliare” il sistema arrugginito?

Se la (presunta) corruzione significa consentire agli imprenditori di aggirare lungaggini burocratiche, rendere più efficiente il loro lavoro, anche nell’interesse della comunità, è di per sé un fatto negativo?

Si dirà: dipende da cosa vuole fare l’imprenditore. Ma in questo modo si accetta già l’idea che se il progetto fosse buono, mettiamo sia nell’interesse di una regione o di una città per il loro sviluppo e con la creazione di nuovi posti di lavoro, meriterebbe una “spinta gentile” per essere realizzato.

Delle due l’una. O accettiamo un’idea molto stretta di liberalismo per la quale il pubblico non deve mai intervenire nell’economia e allora si potrebbe evitare di principio la corruzione, oppure se ragioniamo nei termini di una democrazia interventista un certo livello di (presunta) corruzione, un po’ di “mastrussi“ e “manezzi” come si dice a Genova, in passato ci sono stati e in futuro ci saranno sempre.

Può piacere o non piacere, ma questa è la realtà, la cosa semmai importante è che la corruzione non diventi “sistema” a danno del territorio e dei cittadini.

Poi il vero rischio della (presunta) corruzione per il politico non è la galera, è la sua reputazione, e una volta ti hanno sbattuto sui giornali presentandoti come un mostro sarà difficile recuperarla.

La (presunta) corruzione può aiutare l’economia, ma se il politico viene accusato dai magistrati e da certa stampa la sua carriera è già finita ancor prima di essere eventualmente condannato in via definitiva. Questo è l’altro lato della cosa. Prof. Paolo Becchi