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Il Nano Morgante | La fatica inutile

Sisifo di Tiziano Vecellio

Dalla saltabeccante scorsa di fonti narrative classiche, tra le tante a disposizione, non tarda a stagliarsi possente la tematica dell’ineluttabilità del destino.

A tutt’oggi, numerose tracce convergono in questo luogo arcano e senza tempo, dove ciascuno si conduce e da dove sopraggiunge, senza che la propria singola azione, seppur incarnata  in una tetragona volontà, possa diversamente disporre e altrimenti  produrre.

Danae ed Edipo ne incarnano alcuni mitologici esempi, estrapolati da un ambito narrativo intensamente  contrappuntato dal timbro destinale.

Per logica, possiamo appellarci al cosiddetto “libero arbitrio”, a quella condizione di autonoma scelta che pare connotare e costituire privilegio dell’umana esistenza. Possiamo perorare tali chance offerte all’essere umano per illuderci di poter contrastare o favorire gli eventi e le singole circostanze.

In verità, la storia del destino umano si compie sempre e comunque attraverso azioni & inazioni, sia che si prefiggano come priorità di evitare afflizioni, sia quando ne costituiscano via via, inconsapevoli, drammatiche personificazioni.

Da ciò sortisce una riedizione  piuttosto circospetta e stridente del convincimento che l’uomo possa, a tutti gli effetti, assumere le funzioni di artefice del proprio destino (traducendo “proprio” con “ciò che desidera per sé”). Poiché, se così fosse, lo sarebbe in relazione ad una sorte inconoscibile: da cui, in quanto tale, non potrebbe sottrarsi, sebbene talvolta possa apparire diversamente.

Scomodare l’ “eterogenesi dei fini” (cit. Wundt) e l’incontrollabilità degli eventi,  contribuisce a vorticare un pensiero che, in realtà, sconfessa l’idea superomista dell’uomo-decisore, dell’uomo-artefice, proprio in quanto connotata da inconsapevolezza, sia dei veri motivi che la sospingono  ad una decisione, sia della molteplicità e variabilità di effetti che, nel tempo, qualsivoglia decisione provocherà.

Un labirinto di specchi é un possibile luogo-metafora, uno a scelta tra i tanti, utile per identificare il contesto in cui gravita l’esistenza individuale. Tanto più, quando essa esplicita l’intento di  supervisionare  ciò che la riguarda direttamente ed indirettamente. Tanto più, quando scruta l’orizzonte per saggiarne le possibilità e propiziarsi il futuro.

In tal senso, l’affermazione “il destino conduce chi lo accetta, trascina chi gli resiste” compone alcuni tratti irriverenti della trattazione.

Per diretta conseguenza, taluni impegni individuali, talune dissipazioni di energia quotidiana, possono, in adeguata misura, identificare e simboleggiare la pena senza fine di Sisifo: spingere su una salita impervia un pesante masso  che, una volta raggiunta la cima, riprecipita a valle.

Non per niente, Camus definisce questa fatica “consapevole perseveranza in uno sforzo sterile”.

Massimiliano Barbin Bertorelli