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Gli Scortilla a 40 anni dal debutto, con Pivio e Marco Odino

Gli Scortilla a 40 anni dal debutto, con Pivio e Marco Odino

A Genova lunedì 24 febbraio ore 18, Disco Club 65 in via S.Vincenzo FAHRENHEIT 999 (2020) Scortilla

 

Tra Carpenter, Bradbury e Truffaut, Genova diventa Los Angeles: un cortocircuito spaziotemporale per ragionare in musica su quanto sia cambiato il nostro modo di immaginare il futuro

Il 24 febbraio 1980 si teneva al Ludrix Club di Genova il primo concerto ufficiale degli Scortilla, gruppo di punta della new-wave italiana degli anni ’80, che in quell’occasione mise il locale a ferro e fuoco, sfasciando il palco. A 40 anni di distanza, il quartetto – che si sciolse dopo qualche anno di tour in tutta Italia e un clamoroso successo al Festivalbar del 1984 – torna sulla scena discografica in versione duo. Pivio, ora affermatosi a livello nazionale e internazionale come compositore di colonne sonore per il cinema, e Marco Odino, chitarrista e paroliere, presentano per I dischi dell’espleta il nuovo album Fahrenheit 999, attraversato da una riflessione inquieta su come l’immaginazione del futuro si sia trasformata negli ultimi decenni, e realizzato nella cornice sonora da sempre marchio di fabbrica degli Scortilla: elettronica e senza compromessi.

Il pezzo d’apertura, che dà il titolo al disco, si riferisce alla prima hit lanciata dalla band nel 1984, Fahrenheit 451. Riproposta in chiave ‘destrutturata’ nella traccia n°4 – Destroyed f451 – la canzone era ispirata al famoso romanzo fantascientifico di Ray Bradbury e all’omonimo film che Francois Truffaut ne trasse nel 1966. Come è noto, si racconta di un futuro distopico in cui leggere o possedere libri è reato, e un apposito corpo di vigili del fuoco sequestra e brucia (a 451° fahrenheit) ogni tipo di volume, perseguitando chiunque si opponga alle leggi di un mondo che ha bandito ufficialmente la fantasia. La canzone dell’84 si chiude rievocando una delle scene più allucinate e glaciali del film: il lungo corridoio di una scuola elementare dove, tra una schiera inquietante e grigia di giacche tutte uguali, risuonano le voci spente di “bambini che ripetono numeri in coro”. In Fahrenheit 999 quei bambini sono cresciuti per trovarsi in un futuro ancora peggiore di quello immaginato, dove le foreste sono in fiamme e i ghiacciai ormai morenti, mentre un chip sottopelle marchia tutti con il segno della Bestia (999 è un 666 rovesciato): “Books on fire, life online… Trees on fire, melting ice… Now we can’t start all over again. Now we can’t stop this pain.” Un gioco di citazioni e rimandi al cinema di Truffaut che percorre tutto il testo, da I 400 Colpi a Il ragazzo selvaggio e Effetto notte. Ma i riferimenti cinematografici e letterari non finiscono qui. A cominciare dal retro di copertina che cita esplicitamente They Live, lo straordinario sci fi di John Carpenter. Nella grafica scelta, la Los Angeles del 1988 diventa la Genova di oggi e svela il vero volto della città, mostrando i messaggi subliminali alle masse nascosti dietro i cartelloni pubblicitari e sui muri dei palazzi.

L’album, pubblicato in vinile trasparente e in digitale, è composto da sette brani ufficiali, di cui 5 brani cantati e due strumentali, più una bonus track – Intruders – su Flexidisc, il formato pieghevole e arrotolabile che negli anni ’50 e ’60 veniva allegato come omaggio nelle riviste musicali oppure distribuito nelle promozioni commerciali, con i jingle di Upim o Cera Grey: un altro tributo alla tecnologia futuribile di ieri. Il secondo brano, Widar Lied, si apre con la citazione in tedesco del Canzoniere Eddico, la ‘bibbia’ norrena che annuncia l’arrivo del dio della vendetta figlio di Odino. The Return, racconta il ritorno degli “scomparsi” del rock, da Elvis a Jim Morrison, Sid Vicious, Darby Crash, Ian Curtis e molti altri, che nella notte ritornano per chi li sa aspettare. Due i pezzi strumentali: Har Məgiddô (durata 666 secondi e 666 millesimi di secondo), il monte di Megiddo in cui si sarebbero svolte molteplici atroci battaglie e da cui prende il nome l’Armageddon, la battaglia finale, eWidar (vor der Schlacht), ripresa con differente arrangiamento di Widar Lied. L’album si chiude con Absent, un inno all’assenza/presenza di tutti coloro che nel corso degli anni sono passati accanto alla band: “Every absent, never disappear / he’s beside me, now is here / (Just can’t decode).