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Anniversario della Lega, Becchi: gettare il cuore oltre l’ostacolo

Matteo Salvini e prof. Paolo Becchi a Genova (foto d'archivio)

Gettare il cuore oltre l’ostacolo

In questi giorni si festeggiano, in Lombardia, i quarant’anni della forza politica oggi più longeva in Parlamento: la Lega. Però non si respira aria di festa. Molti antichi militanti rimpiangono il passato e omaggiano in privato il vecchio leader nella sua Gemonio, ma oggi Umberto Bossi non andrà alle celebrazioni in piazza del Podestà a Varese.

È il segno di una presa di distanza da Matteo Salvini. D’altro canto, Bossi stesso ha detto a chiare lettere che il Movimento ha bisogno di un nuovo leader.

Non si può ricostruire in poche battute lo spirito della Lega, ma non si può non vedere l’amarezza, la delusione, la tristezza diffusa nella base legista, nel popolo della Lega. Sì, perché la Lega è fatta di tanti militanti che per il partito sono pronti a tutto.

I leghisti hanno un forte senso di appartenenza, che li spinge a identificarsi col territorio in cui vivono. Sono uomini della terra. “Mogli e buoi dei paesi tuoi”. Bossi ha incarnato quel senso popolare, poi però è stato travolto, e non solo dalla malattia.

Roberto Maroni ha salvato la Lega dall’estinzione e poi Salvini l’ha rilanciata, raggiungendo un consenso straordinario, oltre il 30%. Chi oggi non lo riconosce bara.

Ha anche cercato di coniugare insieme autonomia e sovranismo. Da “prima il Nord”si è passati a “prima gli Italiani”. All’ inizio ha funzionato. Il popolo padano era diventato il popolo italiano.

Nasceva l’idea di un’Italia sovrana, contro la burocrazia di Bruxelles e la sua moneta. Un’idea dell’Italia con un popolo finalmente sovrano, come alternativa al “più Europa”. Perciò non veniva meno l’istanza autonomista inserita in una dimensione nazionale.

Il “sovranismo” della Lega non ha mai avuto niente di leviatanico, era un “sovranismo debole”, “liberale” (in senso autentico), aperto al riconoscimento delle autonomie. Salvini ha incarnato tutto questo: senza troncare le radici ha aperto verso il futuro.

Poi qualcosa non ha funzionato e l’analisi qui non deve essere frettolosa. Ci vorrà del tempo per farla, ma un punto mi pare chiaro, alla Lega non è riuscito al Sud quel radicamento territoriale che invece è stato il successo della Lega al Nord.

In politica ci vuole, a volte, anche un pizzico di fortuna e alla fine questa è venuta a mancare.

Un Governo giallo verde, oggi malfamato, ma cosa hanno fatto gli altri per non farlo nascere e farlo morire? Poi il coronavirus e il Governo Draghi e la Lega ha pagato un conto salatissimo.

E ora? Ora le guerre, con il rischio di una Terza guerra mondiale. E si sente la mancanza di una Lega che con forza abbia il coraggio di dire che come non dovevamo “morire per Maastricht” oggi non dobbiamo “morire per Kiev” o per Tel Aviv. Gli italiani, da Nord a Sud, vogliono vivere in pace.

L’impressione è che Salvini sia molto concentrato nel suo lavoro di ministro, in grandi imprese, ma il suo partito? Che posizione ha? Su cosa si distingue dagli alleati sul tema caldo delle guerre e dei rischi di una escalation? Molti se lo chiedono: dove sta andando la Lega? Qual è il progetto politico in generale? Qual è, nell’immediato, il suo programma per le elezioni europee?

Rimpiangere il passato, vivere di ricordi assistendo al proprio lento dissolversi, non può essere questo il futuro della Lega. Occorre scrutare i segni dei tempi e gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Difficile dire cosa succederà dopo le elezioni europee. C’è da sperare in un congresso serio, dove si possano confrontare apertamente le diverse posizioni. Saranno poi i militanti a decidere il futuro di questo partito che è parte integrante della storia del nostro Paese. Prof. Paolo Becchi