L’argomento è molto trattato ma appare talmente drammatico che si potrebbe dibattere ogni giorno.
E’ la follia della violenza giovanile, brutale, che annulla ogni valore se non quello, profondamente errato e terribile, della sopraffazione e della legge del più forte.
E allora ci domandiamo: società civile o giungla? Savana o contesto urbano?
Quesito che mette angoscia, quando però non ci si può limitare al sentimento, ma occorre fare qualcosa di forte per invertire la tendenza mentre a livello medico- scientifico qualche importante spiegazione su analisi, cause e strategie di intervento, le offre Stefano Alice, medico e criminologo, consulente del Tribunale, specializzato in Medicina Legale e danno alla persona, direttore del Centro di riferimento per la formazione specifica in Medicina Generale della Regione Liguria.
“Nel contesto ligure – afferma il medico – i dati sulla criminalità minorile evidenziano un trend allarmante: nel 2023, i reati commessi dai giovani sono aumentati del 30% rispetto all’anno precedente. A Genova, questa realtà si traduce in un quadro complesso, fatto di microcriminalità, baby gang e comportamenti a rischio, che coinvolgono ragazzi spesso aggregati in modo casuale”. Mentre circa la delinquenza minorile, Alice spiega che il fenomeno è “quando i giovani sotto i 18 anni commettono reati. Il sistema cerca di correggerli e aiutarli a migliorare”.
Diverso dal diritto degli adulti, spiega ancora il criminologo, “si basa sull’educazione. Più che punire, si cerca di rieducare e reinserire i giovani nella società. Non solo giustizia ma cura, la Convenzione Onu dice che bisogna considerare il benessere del minore e il suo reinserimento”.
“I recenti dati sulla criminalità minorile a Genova confermano un trend in crescita – indica Alice – con un aumento del 30% dei reati commessi dai minorenni nel 2023 rispetto all’anno precedente. Una escalation che costituisce un segnale evidente che, senza interventi decisi, questa tendenza può peggiorare. Le avvisaglie c’erano e la Procura generale di Genova aveva già avvertito all’inizio dell’anno che il fenomeno coinvolgeva sempre più minori, spesso inseriti in quadri associativi o baby gang, anche se il termine è difficile da definire con precisione. La crescita dei reati, che spaziano da aggressioni e rapine a spaccio e violenze sessuali, dimostra quanto sia complesso e diffuso il problema”.
Due, secondo l’esperto, le cause principali della delinquenza tra i giovani: “problemi psicologici e contesti sociali disfunzionali. Chi cresce in un ambiente difficile, è più a rischio. Influiscono famiglia, scuola, amici. Se uno di questi manca o è disfunzionale, si crea un terreno fertile per i problemi. In ciò il ruolo dei coetanei è fondamentale. I gruppi di pari possono spingere a comportamenti sbagliati, come il cyberbullismo o la trasgressione”.
“E pure i social media – riferisce Stefano Alice sono un grosso problema. Cyberbullismo, revenge porn, violenza online. La tecnologia è un’arma a doppio taglio. La pandemia ha poi aumentato l’uso dei social, e con esso i rischi”.
“Molteplici le cause di questa situazione ed evidenti”, insiste il criminologo e perito del Tribunale , che le indica in “mancanza di integrazione sociale, di opportunità di studio, sport e cultura, che crea un terreno fertile per comportamenti sbagliati, da un lato. Dall’altro, i social media e la cultura dell’illegalità diffusa online alimentano comportamenti aggressivi e pericolosi. Non sempre si tratta di mancanza di risorse, come denaro o supporto familiare; ci sono giovani che, pur avendo soldi grazie ai regali dei genitori, li spendono in alcol e droga. Spesso, il problema sta anche nelle cattive abitudini e nei vizi, che contribuiscono alla devianza”.
Il sistema penale minorile risponde “soprattutto con misure di recupero. Si preferisce riabilitare piuttosto che punire severamente. Più che il carcere si usano il più possibile misure alternative: affidamento, messa alla prova, detenzione domiciliare. Il carcere è l’ultima spiaggia. Mentre i processi sono più snelli. Ci sono meno formalità, e si cerca di capire il contesto del minore. Il giudice lavora con assistenti sociali e esperti. E in caso di condanna il giovane può essere inserito in strutture che combinano punizione e educazione. L’obiettivo è il reinserimento”.
Sull’azione governativa di prevenzione dei reati giovanili Stefano Alice sostiene che “il governo fa quello che può, ma rischiano di essere più proclami che i fatti concreti. Sono stati introdotti strumenti come il “Decreto Caivano” che rafforzano i controlli, limitano l’accesso ai luoghi per i giovani a rischio e aumentano le sanzioni per chi viola le regole. Ma questa è solo una parte della soluzione. Va fatto di più. Non si risolve il problema con i soli controlli e le punizioni, bisogna affrontare le cause sociali e psicologiche che portano i giovani sulla cattiva strada. La scuola, le famiglie, le associazioni devono lavorare insieme, per offrire ai nostri giovani alternative vere, altrimenti continueremo a rincorrere i problemi invece di risolverli”. DINO FRAMBATI