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Un treno di donne da Genova all’Afghanistan

Un treno di donne da Genova all'Afghanistan
Un treno di donne da Genova all'Afghanistan

Un treno di donne da Genova all’Afghanistan, nel secondo appuntamento dell’iniziativa intitolata, Cartello Donne Diritti 

Un treno di donne da Genova all’Afghanistan. Genova per le donne afghane organizzato sabato scorso da Consuelo Barilari per il Festival dell’Eccellenza al Femminile, è stata occasione per parlare   di diritti delle donne e impegno sociale anche nella nostra città in vista delle elezioni amministrative.

All’iniziativa sono intervenute  16 donne inarrestabili Giuliana Sgrena, Maria Paola Profumo, Rahel Saya, Sarah Karimi,  Cristina Lodi;  Didi Gnocchi, Anna Migotto, Sabina Fedeli, Arianna Pitino, Giovanna Badalassi, Stella Acerno ; Flora Cordone,  Francesca Camponero; Lucy Ladikoff,  Rahel Saya, Consuelo Barilari e Ariel Dello Strologo, candidato Sindaco per la Coalizione Progressista che ha accettato di partecipare a questo panel al femminile.

Dichiarandosi pronto a prendere “provvedimenti importanti per il futuro di Genova, come l’introduzione dei bilanci di genere nelle pubbliche amministrazioni, l’applicazione e diffusione della medicina di genere nelle ASL e nei servizi sanitari, il sostegno alla progettualità sociale e culturale per l’eliminazione delle discriminazione, sia per le donne che per le categorie LGBTQ+.”

La lotta per i diritti delle donne in Afghanistan non deve sparire dall’agenda del dibattito pubblico, come purtroppo sta progressivamente accadendo. A denunciarlo è la giornalista afghana Rahel Saya, da 8 mesi rifugiata a Genova, tra le ospiti del panel al centro dell’evento. Dal 7 maggio, per la prima volta dopo vent’anni, le donne afghane sono costrette ad indossare il velo islamico secondo il nuovo ordine talebano.

Inoltre possono uscire di casa solo se ritenuto strettamente necessario.  E le conseguenze civili per chi viola la legge sono anche a carico degli uomini, considerati ‘responsabili’ della condotta femminile. Le condizioni del paese diventano sempre più complesse, perché il regime non è riuscito a garantire alla popolazione i servizi sociali base, ricorda Saya, e invoca l’intervento diplomatico e pacifico della comunità internazionale, al fine di negoziare una soluzione.

L’economista Giovanna Badalassi, ricorda che la pandemia ha riportato all’attenzione le possibilità di un agire collettivo: “Cominciando a sentirci parte di una collettività, si ha la possibilità di ampliare le nostre possibilità di azione.

Le donne italiane possono agire concretamente per l’afghanistan, essendo più attive come cittadine nella comunità e orientando il dibattito pubblico.” Arianna Pitino – presidente Comitato Pari Opportunità dell’Università di Genova, che per iniziativa del Pro rettore Fulvio Mastrogiovanni, ha accolto 11 studenti afghani (di cui purtroppo una sola donna) – sottolinea, da costituzionalista, come la violazione dei diritti delle donne sia storicamente la violazione dei diritti umani più costante.

E la vicenda dell’Afghanistan insegna che bisogna tenere alta l’attenzione, perché si può andare avanti nella conquista dei diritti, ma anche tornare indietro molto rapidamente. Il CPO Unige sta cercando di sviluppare forme di lavoro agile e favorire la condivisione equa del lavoro di cura. Inoltre si garantisce un’assistenza per gli studenti genitori.

Si stanno introducendo insegnamenti sugli studi di genere, e si punta a rafforzare il linguaggio di genere all’interno dell’Università.

Un dibattito che deve continuare in tutti gli ambiti della società civile. “Amnesty International” – ricorda Stella Ascerno, presidente Centro per l’Educazione ai Diritti Umani e attivista di Amnesty – “ha condotto un’azione nelle scuole, con l’obiettivo di sottoporre al Ministero degli Esteri l’urgenza dell’educazione per le bambine sopra i 12 anni in Afghanistan: Sono arrivati migliaia di messaggi con disegni prodotti dagli studenti della scuola primaria e secondaria.

” Altra iniziativa in solidarietà è stata riportata da Flora Cordone, rappresentante dell’UDI, che ha dedicato l‘8 marzo di quest’anno proprio alle donne afghane.

La critica di teatro e danza Francesca Camponero, porta l’accento sul campo che le sta più a cuore, ricordando che i talebani non amano l’arte. 4 pittrici afghane sono state trattate come prostitute dal governo afghano. Ma anche molti artisti uomini sono costretti a lasciare la propria patria.

Per raccontare questa emergenza, la Fondazione Imago Mundi ha realizzato a Treviso la mostra di artisti afghani “Qatra Qatra”, un titolo ispirato al proverbio afghano “Qatra Qatra Darya Mehsha”: “goccia dopo goccia diventa un fiume”.

Nel mondo della danza la situazione è ancora più drammatica ed equivoca: poiché le donne non possono ballare in pubblico di fronte agli uomini, nei locali vengono utilizzati bambini maschi in abiti femminili.

Cristina Lodi, consigliera del comune di Genova, ricorda che anche nel nostro paese la Democrazia non è tale finché non c’è parità di genere. Nello scorso anno 498 donne genovesi sono state costrette a dimettersi perché non riuscivano a conciliare lavoro e famiglia. L’Italia continua a perdere quote di Prodotto Interno Lordo perché le donne lavorano meno.

I diritti che sono dati per acquisiti anche qui non sono in realtà concretamente applicati. Rifiutare ciò che accade nel mondo e soprattutto in paesi come l’Afghanistan – dall’imposizione del velo alla violenza e alla tratta di cui le donne sono vittime –  è espressione della nostra democrazia. Non dobbiamo essere indifferenti. La cultura deve essere il punto di partenza che aiuta la politica ad immaginare azioni per la democrazia.

Ma sono stati un libro e un film a fare da locomotiva, nell’evento. Il libro è il nuovo, sferzante pamphlet di Giuliana Sgrena: “Donne Ingannate. Il velo come religione, identità e libertà” (2022, Il Saggiatore), che raccoglie la voce delle donne incontrate durante i suoi reportage in Medio Oriente e indaga e storicizza l’uso del velo.nei paesi del Mediterraneo.

Il film è il documentario “Noi donne afghane” (Italia, 2021, durata 55’), di Sabina Fedeli e Anna Migotto, proiettato alla fine dell’incontro. E anche qui, le protagoniste parlano in prima persona: sono otto donne fuggite dall’Afghanistan dopo il ritorno del regime talebano, che raccontano il loro dramma e la propria determinazione a continuare la lotta.

Dal coro delle donne afghane si leva l’appello all’occidente: “Tenete alta l’attenzione sui Diritti delle Donne, siate solidali con la nostra lotta e non dimenticatevi di noi.”

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