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Per le parti di lei che sono mie al Teatro della Corte

Per le parti di lei che sono mie al Teatro della Corte: quando la sofferenza sfocia in tragedia

Quando la sofferenza sfocia in tragedia

Tre donne su un palco ampio e spoglio: sembra tanto lo spazio in cui muoversi, in realtà è chiaro fin da subito che le protagoniste sono in prigione, stanno scontando una pena per un reato grave, un omicidio per ciascuna. E secondo un noto copione da  carcerato, ogni tanto scrivono parole, frasi simbolo sul muro grigio.

Raccontano, intersecandosi in un mosaico di frasi, ascoltandosi e talvolta  rispondendosi, come ci sono finite in quella  galera fisica e psicologica, complice un iter inevitabile, “come una pallina su un piano inclinato”.

Ciò che colpisce dei loro racconti è la lunghezza e la pesantezza della sofferenza intima, inseguita, masticata, macerata, esplosa infine nella tragedia, una sofferenza tutta al femminile.

Difficilmente una donna agisce d’impeto, vi è quasi sempre bisogno di una lenta gestazione che diventi determinazione e che alla fine scoppi dentro di lei: da quel momento la pallina comincia a correre fino a schiantarsi.

Una modalità tutta al femminile, dicevamo, di personalità che imparano a vedere bene solo in ritardo, perchè serrate nell’insieme dei doveri così ostinatamente instillati, imposti dalle famiglie, da madri che se ne lamentano ma non se ne liberano e li trasmettono alle figlie, quasi che il non vedere, il far finta di nulla fosse un recinto protettivo.

Ma una volta imparato a vedere si vede benissimo, eccome: il problema sta nel fatto che spesso non si reagisce in tempo o non per correggere la rotta, ma si reagisce all’eccesso, distruggendo anche la propria vita.

Tre sofferenze: di una bambina abusata, di una moglie con un marito dalla doppia orribile vita, di una donna nata povera e bruttina, che vede ribaltarsi sulla figlia i suoi difetti e le sue illusioni bruciate.

E come quasi sempre vi è un uomo di mezzo, un uomo con un lato oscuro o superficiale, un perfetto sconosciuto col quale si divide la vita. Un uomo sul quale gettare, una volta scoperto ma anche prima, tanto disprezzo, ma dalle azioni del quale si dipende psicologicamente. Un uomo fonte di sofferenza: però non è lui che si ammazza, putacaso. Le altre, talvolta  vittime  anche loro, non esistono come persone, si eliminano senza alcun pentimento, sono solo un mezzo per punire.

Lo spettacolo, per la regia di Mercedes Martini, è prodotto dal Teatro Nazionale di Genova e rappresenta un omaggio ad una delle voci più significative del genere noir, Maurizio de Giovanni; prende le mosse da tre suoi racconti che si ispirano a tre celebri casi rivisitati di cronaca nera.

Buona l’interpretazione di Granata, Lendaro, Fontanelli.

Per la Rassegna di Drammaturgia contemporanea il lavoro resta in scena al Teatro della Corte fino al 25 luglio.

Elisa Prato