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Il Nano Morgante | L’inermità della giustizia

La Giustizia di Biagio d'Antonio Tucci (1490, è conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze)

Non è novità un sentire comune che esprime sfiducia nell’idea di Giustizia. E che ciò renda poco agevole il rapporto civico quotidiano.

Pare altresì pertinente, su simile fronte, l’esito di un indagine ISTAT già del 2015 in cui l’80%  degli italiani dichiara di non fidarsi del prossimo.

In ogni caso, la corrente riflessione, insinuata in una Società tendenzialmente sfiduciata, dispone al paradosso per cui la Giustizia, come  concetto e come strumento, é temuta più dalle persone oneste che dalle disoneste.

Il preambolo dispone ad un’idea del diritto piuttosto evanescente, ancorché in una Società che del diritto si é costituita a simbolo.

In particolare, ad esempio, va rilevata l’evanescenza del concetto di proprietà privata di un locale commerciale, quando un estraneo, disponendo della buona fede e della credulità dei proprietari, ottenute in consegna le chiavi, da quel momento in poi, senza corrispondere affitto né realizzare le presupposte opere (previste da un impegno sottoscritto tra le parti) ne trattiene a piacimento l’uso.

Al punto che l’avvio immediato di contatti legali e l’invio di raccomandate restano azioni vane, ad implicare un quadro che, se per logica si poteva pensare di facile epilogo, nell’applicazione normativa trova progressive difficoltà. Al punto che la circostanza gravosa per la proprietà lo è visibilmente meno per l’occupante, vista l’ appropriazione del locale e la collocazione di un lucchetto alla porta, in aggiunta alla serratura, a dimostrazione di beffa e dispregio.

Una situazione, ad oggi,  in cui la legge pare non avere la possibilità di agire adeguatamente per ristabilire l’ordine originario.

Viepiù, relata refero, i proprietari debbono astenersi dal tentare di accedere nel proprio locale, anche solo per constatare la tipologia del materiale ivi riposto, laddove si macchierebbero di un torto censurabile.

Nella confusione tra le prossime (prevedibilmente onerose) azioni legali, la narrazione stigmatizza la latitanza del presidio dell’onestà. E dichiara, per differenza, quanto un comportamento spavaldo e furbesco sia sufficiente a comprimere quei diritti che con evidenza non sono tutelati come meritano.

In conclusione, pur nella relativa gravità della circostanza, diviene comprensibile il sentimento della sfiducia quando una comunità osserva l’ inermità della giustizia nel non di-segnare una certa e netta linea di confine tra onestà e disonestà.

Massimiliano Barbin Bertorelli