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Ciao Paolo…

Ciao Paolo...
L'attore genovese Paolo Calissano (foto di repertorio)

Quando sei entrato nella ditta di tuo padre hai portato un raggio di sole. Il tuo modo di fare accattivante rendeva la vendita di piastrelle e sanitari più bella e interessante, come eri tu.

Certo non eri votato a quello che sperava tuo papà e appena potevi cercavi il momento giusto per scappare per correre a fare quello a cui invece tenevi molto: una brillante carriera nel mondo dello spettacolo.

“Fra, mi accompagni alla stazione?, devo andare a Milano per un casting” mi chiedevi con quel mezzo sorriso indimenticabile, ed io, che come tutti, ero sensibile al tuo fascino, e ti rispondevo di sì anche se poi dovevo fare salti mortali per trovare con tuo padre scuse incredibili che ti coprissero.

Ma tuo padre si accorse velocemente che le tue attenzioni non erano rivolte al mondo dell’imprenditoria e così, un pomeriggio, che ricordo benissimo, ti prese nel suo ufficio e ti licenziò.

Ricordo che anche in quell’occasione fu compito mio accompagnarti alla Stazione Brignole (a Genova), dove con occhi tra il malinconico e lo speranzoso, mi hai detto: “Sai Fra, forse è meglio così. Mio padre non ha mai capito niente di me, e in fondo in questo modo mi ha aperto le porte al mio destino”.

Un bacio veloce sulla guancia e ti ho visto allontanarti di corsa verso un treno che ti portava nuovamente nella capitale della televisione, la patria di Mediaset.

Non ti ho rivisto per diversi anni, ma le notizie di te arrivavano dai rotocalchi e dalle tv che trasmettevano le fiction in cui eri tra i protagonisti. Ce l’avevi fatta e di questo eravamo tutti felici e fieri, tuo padre compreso.

Ma la vita non ti ha sempre sorriso e quando la notorietà è cominciata a calare per te sono cominciati i problemi. La tua vita è sempre stata una ricerca di conferme.

Non ti bastava sentirti bello, nè bravo, nè evidentemente di aver raggiunto quello che sognavi. C’era sempre un vuoto in quell’animo irrequiteto che forse cercava semplicemente amore.

Certo le fidanzate che hai avuto sono state tante, tutte belle, famose, e meno famose, ma anche in questo caso evidentemente nessuna di loro è riuscita a colmare quel vuoto immenso che prendeva sempre più campo dentro di te e per cui ha pensato la soluzione migliore (o la più semplice e immediata) si trovasse nell’oblio della droga.

Un mese esatto dopo la morte di tuo padre, arriva la notizia del tuo arresto (8 ottobre 2005).

Nella tua abitazione genovese è morta per overdose di cocaina, una ballerina brasiliana Ana Lucia Bandeira Bezerra. Sei accusato di cessione di sostanze stupefacenti, sappiamo tutti che non è così, ma certamente la tua tossicodipendenza è un fatto accertato.

Sconterai gli arresti domiciliari nella comunità terapeutica “Fermata d’autobus” a Trofarello, vicino a Torino. E’ quel che hanno deciso i giudici del riesame nei tuoi confronti, riconoscendo la necessità che tu riceva cure adeguate per il tuo stato.

Quando in tv ho visto il momento in cui tuo fratello Roberto ti è venuto a prendere in macchina per portarti alla Comunità, mi si è stretto il cuore: il tuo sguardo era smarrito e conscio che da quel momento la vita non sarebbe stata più la stessa. Già a quei tempi la perizia del prof. Francia aveva sostenuto che eri affetto da un disturbo depressivo grave, disturbi della personalità a carattere psicotico con crisi allucinatorie. Tu stesso dopo l’arresto avevi chiesto infatti di essere curato.

Gli anni passano, fai nuovamente qualche presenza in tv come ospite, ma niente di paragonabile alle glorie degli anni’90.

Decidi di lasciare Genova per andare a Roma forse nella speranza di essere nuovamente nella cerchia magica del cinema e della tv, ma non riesci più a ainserirti. Il momento magico si è bruciato nel lontano 2005.

Torni in depressione, me lo racconta tuo fratello quando chiedo di te. Ed oggi la drammatica notizia della scoperta del tuo corpo senza vita disteso sul letto nel tuo appartamento romano alla Balduina.

Pare tu fossi lì da giorni, dimenticato dal mondo. Sul comodino ci sono due scatole di psicofarmaci, altre sono sparse a terra e in cucina.

L’ipotesi al vaglio degli investigatori è che ti sia tolto la vita volontariamente assumendo un letale mix di farmaci. Una notizia che fa male, una notizia che, nel caso la scelta di porre fine alle sofferenze sia stata la tua, porta rispetto.

Perchè a 54 anni se un uomo fa questa scelta vuol dire che l’ha ben ponderata considerando che il mondo che lo circonda non gli appartiene più, anzi gli è nemico. Un mondo che non è più in grado di offrigli nulla di buono, nulla di bello, nulla in grado di farlo sorridere.

E a me è proprio quel sorriso che manca, tra l’ironico e il seduttivo, tra il bambinesco e il malandrino. Oggi so che non ci sarà più un treno a cui accompagnarti, so che non ci sarà  neanche una stazione dove venirti a prendere. Francesca Camponero