Ritorna una delle migliori serie offerte dalla TV nostrana, Il commissario Ricciardi: la prima delle quattro puntate è prevista su Rai 1, salvo rinvii, per la prima decade di novembre.
Nella Napoli del 1930 si svolgono le vicende di un funzionario di polizia di nobili origini, con il dono ( o la dannazione?) di ricevere messaggi dalle vittime dei delitti di cui gli tocca scovare i colpevoli. Da tempo innamorato di Enrica, la maestrina della finestra dirimpetto, ha rinviato a lungo il momento di dichiararsi ( e lo ha fatto all’antica, chiedendone la “mano” al padre) in quanto il commissario vive la sua medianicità come una forma di alienazione mentale che teme di trasmettere ai figli.
La serie fornisce un mirabile spaccato della vita del popolo e dei funzionari pubblici della Napoli in piena era fascista: chi non manifestasse pieno assenso al regime era sospettato, seguito, spiato, sorte che tocca anche al nostro commissario, in quanto, secondo la tradizione dell’onesto poliziotto, poco incline ad assecondare superiori ottusi e proni al regime, ansiosi di scovare un colpevole a tambur battente, non importa se vero o posticcio.
Punti di forza sono il perfetto calo nel personaggio, l’interpretazione azzeccata e la fisicità di Lino Guanciale nei panni del malinconico commissario, nonchè del bravo Antonio Milo nelle vesti del maresciallo Raffaele Maione che lo affianca, un uomo tutto d’un pezzo, lavoro e famiglia, dalle passioni marcate e dall’animo palpitante, di cristallina onestà. I due sono supportati da tanti eccellenti attori e caratteristi, di evidenti origini partenopee, tanto per citarne alcuni lo spassoso Bambinella, “prostituto” e confidente della polizia, la ruvida giovane governante Elide che parla per proverbi (e che speriamo di rivedere), la petulante e gretta madre di Enrica che ragiona solo in tema di partiti convenienti per la figlia.
Il commissario Ricciardi non è paragonabile ad una telenovela qualsiasi, è un esempio non frequente di buon spettacolo che coinvolge, permette di pensare, ti farà stare sveglio fino a tarda ora; i personaggi sono autentici persino nella parlata, a volte in napoletano stretto o con espressioni tipicamente partenopee che possono portare a qualche difficoltà di comprensione per chi non è di origine meridionale ma che artisticamente portano valore aggiunto alla trama.
Spaccato di vita, certo, ma anche vetrina della mentalità italiota dell’epoca ( ma davvero sepolta?) che mostra personaggi talvolta retrogradi ma sempre veri e magari individuabili tra le nostre conoscenze…. Indimenticabile, nelle puntate precedenti, l’interrogatorio di cui è vittima Ricciardi da parte del funzionario di regime, che lo accusa di omosessualità in quanto, nè sposato, nè fidanzato, nè frequentatore di case di tolleranza, si è permesso di non assecondare le attenzioni di una piacente vedova amica di Edda Ciano! La maestra Enrica è un bell’esempio di ragazza tosta e decisa ad imporre il proprio amore alla madre, persino rischiando di restare (ohibò !) zitella, spalleggiata da un padre saggio e comprensivo, che, con delicatezza, arriva ad invitare Ricciardi ad aprirsi “per non rendere infelici due esistenze”. Pezzi di bravura e sprazzi di divertimento sono i colloqui di “lavoro” tra il maresciallo e Bambinella, che vorrebbe essere ripagato delle notizie fornitesecondo la propria inclinazione…, ma senza speranza alcuna.
Ciò che forse colpisce di più è il disagio psicologico che può bloccare, dal quale non sono indenni neppure persone oneste e capaci come Ricciardi. Nonchè il riferimento palese o velato all’unicità dell’amore, presente sempre negli episodi precedenti, che fa riflettere il commissario, ma anche gli spettatori, sull’importanza dell’amore vero in una vita. ELISA PRATO
 
	 
	