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‘Ndrangheta in Liguria, pg chiede condanna per presunti boss Pellegrino e Barilaro

Un'operazione dei carabinieri del Ros (foto di repertorio)

Inchiesta e processo “La svolta”. Il sostituto procuratore generale Alessandro Bogliolo e il pm Giovanni Arena oggi hanno chiesto la conferma delle condanne di primo grado per i presunti boss della ‘ndrangheta di Bordighera.

Si tratta di Maurizio, Giovanni e Roberto Pellegrino e di Antonio Barilaro.

Le richieste sono arrivate nel processo d’appello bis sulle infiltrazioni della malavita organizzata nel Ponente ligure, dopo una prima condanna in primo grado, una sentenza di assoluzione in appello e un annullamento con rinvio da parte dei giudici della Corte di Cassazione.

Oltre ai quattro imputati, a processo anche Vincenzo Marcianò, accusato di millantato credito (per cui il pg ha chiesto la condanna a un anno di reclusione) e Omar Allavena (per cui è stata chiesta la conferma della condanna per droga) e Giuseppe Cosentino.

L’inchiesta dei carabinieri del Ros era scattata il 3 dicembre del 2012 e aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia.

Il Consiglio di Stato, però, aveva stabilito che non vi erano elementi per far decadere l’amministrazione di centrodestra guidata da Gaetano Scullino, uscito dalla vicenda completamente scagionato.

Il primo cittadino e il city manager Marco Prestileo erano stati accusati dall’ex segretario generale Achille Maccapani. Tuttavia, anche i giudici della Suprema Corte, come quelli di primo e secondo grado lo avevano ritenuto inattendibile, confermando le assoluzioni.

I processi in Tribunale a Imperia e in Corte d’Appello a Genova avevano però portato alle prime condanne per associazione mafiosa,  sottolineando la presenza della criminalità organizzata calabrese che secondo gli inquirenti aveva come referente la famiglia Marcianò a Ventimiglia.

In primo grado era stata riconosciuta la presenza di una “locale” della ‘ndrangheta anche a Bordighera, ritenuta riconducibile alle famiglie Pellegrino e Barilaro.

Il processo di secondo grado, invece, negò questa ipotesi, che era fondata su dichiarazioni di alcuni pentiti.

In appello Giuseppe Marcianò (morto nel gennaio scorso) era stato condannato a 15 anni e 4 mesi e il figlio Vincenzo a 7 anni e sei mesi. Con loro, per il 416 bis, vennero condannate altre otto persone.