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Il Nano Morgante | La geometria dei destini

Vasil'evič Kandinskij, composizione X

E’ frequente convinzione ritenere che tutto accada per un preciso, inconoscibile motivo. E che la sorte, in tal colloquiale e domestica accezione, sia un evento, propizio o meno, in cui si inciampa per sovraordinato e celeste disegno.

Nulla può, in tal stato di cose, l’umana volontà, impotente dinanzi a tale olimpica entità.

Poderose correnti di pensiero  erigono alti muri e angusti spazi dinanzi a tale fatalistica asserzione, in forza, tra l’altro, della corrispondenza del latitante concetto di libero arbitrio:  tra chi è ossequioso ad una volontà esterna e superiore e chi vi si oppone:  tra una concezione mistico-escatologica dell’esistenza e l’ostensione di un esasperato nichilismo.

Per inesorabile condizione, il pensiero si libra nel cielo, spazia tra le nuvole. E, non di rado, può assistere alle più disparate, mutevoli e, talvolta, inveritiere  rappresentazioni (giacché  un libero contesto si presta, più di altri, a forme di auto-inganno).

Tuttavia, la tentazione di un sé irriproducibile  desta l’attenzione umana ed individua  proprio l’uomo  quale protagonista di un destino personalizzato.

Anche quando, come oggidì, il tempo nuovo travolge e discredita quello vecchio,  altrettanto disperato e muto é il richiamo nel riconoscersi meritevoli di una sorte ad hoc,  speciale.

E’ l’identità di una insondabile alchemica “geometria” : sia quando, come materia di scuola,  unisce punti indubitati e definisce segmenti certi: sia quando, come nella vita quotidiana, interseca un destino con un altro e  quando eleva il fatto ad evento extra-ordinario,  pre-destinato.

Catturati da questa fitta trama di fili invisibili, in questo intreccio di nodi inestricabili,  trovano senso e sfogo le nostre fantasie. I desideri inespressi possono inclinarsi nella magica teoria dell’esaudimento.

Diviene essenziale questa “geometria” che ri-unisce i destini. Che, in quanto tale,  seppur per breve tempo, non lascia spazio e scampo a dubbi e dispute.

In virtù di ciò, anche negli ingloriosi esiti e nelle più infruttuose recriminazioni, troviamo una dimensione alternativa, un riparo.

Anche se questa condizione, a tutta prima,  parrebbe una “espropriazione di sé”, essa è solo in apparenza  eterodiretta:  in realtà,  ha il personale intento di alleviare le sorti e di proiettarci in alto, di saettarci velocissimi lasciandoci dietro una luminescente scia di stelle.

Anche questo è il ricordo,  segno di esistenza umana:   ideato per rifocillare il famelico insaziato appetito di infinità dell’uomo e il suo infinito credito nella speranza.

Massimiliano Barbin Bertorelli