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Il Nano Morgante | Il fardello dell’eredità mentale

Il Nano Morgante | Il fardello dell’eredità mentale

Com’è che, dal punto di vista meramente fisico, dopo esserci liberati di un fardello, di un peso, il cammino risulta da subito più leggero, mentre, invece, quando crediamo di esserci liberati dalla massiva pesantezza di una situazione psicologica, il cammino tende a permanere in un alterno e desolante avvilimento?

L’argomento, già affrontato in varie sedi, tende tuttavia a restare defilato, quantomeno negli effetti. Non per caso, “il dono prezioso di non essere troppo intralciato da me stesso”, citando Gide, può essere motivo di comparata riflessione.

Giusto per sondare quanto, di ciò che sopportiamo, abbia davvero motivo di essere e da dove provenga tale capacità di sopportazione.

Sottrarci a certe forme abitudinarie, a certa eredità mentale è un passo fatidico, intrepido, faticoso. Oltre che disatteso. Utile tuttavia per riconquistare l’identità originaria e rientrare in possesso di certo confortante fatalismo, senza che lo si scambi, erroneamente, per inerte rassegnazione o comoda superficialità.

Mutatis mutandis, i concetti-chiave della questione si possono identificare, vuoi nell’esigenza e nel liturgico appagamento estetico-sensoriale, vuoi nella condizione di faticoso accoglimento e di necessaria mediazione tra ciò che si è e ciò che si ha.

Stante l’inesaustiva premessa, solo la dominanza di noi stessi configura quello stato di libertà, del pensiero e delle azioni, che inermizza esiti ingloriosi o che, se non altro, li dribbla.

In questo modo, riportare il focus sull’identità permette di affrontare e smarcarsi dall’ammiccante influsso dell’autoevidenza e dall’ineludibile desiderio del superfluo.

In ultima analisi, un certo ridimensionamento psico-ponderale della propria eredità di pensiero, ben lontano dall’assurgere alla totale eliminazione degli affanni (citando incautamente Epicuro), si conferma tradito, oggidì, sia negli intenti che nelle aspettative.

Massimiliano Barbin Bertorelli