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Lettera alla redazione: una genovese in Cile, prima parte

La testimonianza diretta di quello che sta succedendo in questi giorni in Cile attraverso le parole della studentessa genovese Nina Fontana che si trova a Santiago del Cile per motivi di studio

Un momento delle manifestazioni

GENOVA – Abbiamo ricevuto, da una nostra giovane lettrice, che si trova da alcuni giorni a Santiago del Cile, per motivi di studio, una lettera che testimonia la grave situazione in cui si trova il Paese. Ci è sembrata una testimonianza attendibile ed interessante. Il nome della studentessa genovese è Nina Fontana.

Questa è la prima parte della lettera che, per motivi di spazio, abbiamo dovuto suddividere in due parti. Sentiamo l’ opinione della studentessa nella prima tranche del suo vibrante intervento.
(Claudio Almanzi).

“Lo scorso 18 ottobre è iniziata una portentosa rivoluzione portata avanti da un popolo scontento, soffocato in una gabbia, morso dal suo stesso sistema per un periodo talmente lungo da lacerare non solo una generazione, ma anche i suoi strascichi. Infatti non solo chi in prima persona ha sofferto le atrocità della dittatura, addirittura quelli entrati in relazione con queste persone e i figli dei cugini dei nipoti, sono stati travolti da quest’onda di repressione.

In Cile, ogni ruga esprime il peso prodotto dalla recentissima storia, ancora presente in ognuno ma scarsamente trattata nei discorsi quotidiani, quasi fosse un mostro sotto al letto sempre in agguato. Si tratta di un prodotto perché le cause che hanno portato al naufragio di un paese intero sono svariate, complesse e connesse. Un prodotto estremamente complicato da analizzare e fallace, perché aggiustato malamente, in fretta e furia e con pezzi vecchi; e, come ogni oggetto posticcio dovrebbe essere trattato con un occhio di riguardo per evitare un’ulteriore rottura, così sarebbe dovuto essere per il Cile post Pinochet.

Mantenere la stessa costituzione scritta da un uomo che ha sguinzagliato militari assetati di sangue e imbottiti di rabbia contro il “suo” popolo per le sue strade, che ha obbligato per anni a rinchiudersi nelle proprie case per evitare di morire ammazzati, o ancora peggio, sparire nel totale anonimato di torture silenti, dolorose e umilianti, è irrispettoso e pericoloso. Pericoloso perché il rischio che la storia si ripeta è alto, irrispettoso per chi patisce una Costituzione che invece di dare diritti li strappa via.

Dopo solo 32 anni dalla fine della dittatura, i giovani figli del terrore di Pinochet si armano: chi di pugni, chi di fuoco, chi di un cucchiaio e una pentola per smorzare l’assordante silenzio della strafottenza verso gli ultimi, ma c’è anche chi si arma di un mutismo attonito e di stima. Questi ultimi sono prevalentemente anziani e adulti, che vedono i loro figli e nipoti tirare fuori il coraggio, la forza e la voce che è mancata loro, e che purtroppo li conduce ad armarsi anche di terrore.

Perché le scelte del presidente Piñera di far scendere l’esercito per le strade del suo caro amato paese e di imporre un coprifuoco che viola il diritto umano alla libertà, hanno squarciato una ferita nell’animo dei cileni che ha finito a malapena di sanguinare e che adesso si fa ancora più profonda.
Con un trauma scarsamente metabolizzato alle spalle e occhi inquieti nel ricordare, la popolazione più anziana si prepara a ripetere un incubo assolutamente totalizzante per la seconda volta nella sua vita.

Come se già non bastasse essere schiacciati quotidianamente da uno stato capitalistico prorompente, neo liberista, fintamente democratico, brutta copia dei vicini Stati Uniti, che affama la sua gente per commerciare con i Paesi del primo mondo, esportandosi e svuotandosi, con il fine ultimo di arricchirsi sfruttando e di lanciare a fiotti soldi ai privati.

I quali, ubriachi di denaro, prendono il volo distaccandosi dalla schifosa povertà, per poter godere tranquilli di tutte le agevolazioni che il loro caro amato compagno Padrone concede gratuitamente. È uno stato che spompa le persone, costringendole ad inventarsi modi di guadagno che, con gli occhi da occidentale che porto, sono a dir poco ridicoli”.
Nina Fontana