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Il Nano Morgante | L’etichetta della libertà

Il Nano Morgante | L’etichetta della libertà

La libertà per l’uomo è un luogo di mera parvenza. La considerazione indaga i consolidati schemi del nostro vivere sociale e pone una riflessione sull’attualità del termine libertà in stretta combinazione col suo esercizio quotidiano.

In effetti, il concetto diviene più comprensibile se gli si oppone la condizione d’obbligo: una condizione oggettiva esterna che deprime la capacità re-attiva, visto che da una prigionia volontaria, per antonomasia, non si evade.

In questa fase di civilizzazione, la questione può ri-assumere una connotazione soggettiva insidiosa, nella misura in cui una moltitudine di individui,  quando interpellata a riguardo, condividerebbe solo la prima parte della considerazione di Cioran:  “sento che sono libero, ma so di non esserlo”.

L’argomento é infido, uncinato da una Società predatoria che, da questo punto di vista,  propone surroghe della libertà.

Sia come sia,  quando riflettiamo sul tema, dovremmo parametrarne confini e calibrarne applicabilità ed estensione, visto che, per principio, la libertà implica, tra l’altro, la scelta.

Se proviamo ad immaginare una condizione di libertà senza l’insistenza di necessità e condizionamenti di sorta, essa potrebbe esplicitarsi, a patto di confinare il clima di  paura che lega l’animale sociale alla propria coscienza. E che lo re-lega, di fatto, ai margini della propria esistenza.

La libertà  tende ad attualizzarsi, tra l’altro, nella forma dell’auto-reclusione sociale, il cui presupposto, in risposta alla circospezione tipica della preda in presenza del predatore, non pare dotato di fondamenta sufficientemente solide.

La libertà anche dal senso di pericolo, presente nel regno animale, pur civicamente regolamentata e ridimensionata dal progresso, si trasfonde in nuove percepite insidie ed angosce.

La passata coesione tra individui di comunità rendeva in qualche misura evolutivo il processo della co-esistenza.  Ai giorni nostri, la forma individuale supera il concetto sociale di comunità ed avvia una involuzione del processo.

Persino il sentimento che ancora tiene insieme gli individui, per come pare usualmente esprimersi, ri-connota la libertà, incalzandola ed implicandola alla paura della solitudine.

In definitiva, dinanzi ai condizionamenti interiorizzati dall’individuo metropolizzato, la “libertà” può rappresentare solo un’ etichetta che non corrisponde al contenuto dell’involucro su cui è appiccicata.

Massimiliano Barbin Bertorelli