Diminuzione degli stock ittici, ricambio generazionale assente, ma anche idee per reinventare il mestiere del pescatore: a Genova, Slow Fish accende i riflettori su un settore in cerca di rilancio
A Slow Fish 2025, l’evento organizzato da Slow Food Italia al Porto Antico di Genova, il mare non è solo un ecosistema da difendere, ma anche un mestiere da reinventare. Il futuro della pesca è al centro del dibattito: da un lato la drastica riduzione degli stock ittici e dall’altro un ricambio generazionale che tarda ad arrivare. I numeri parlano chiaro: secondo Confcooperative Fedagripesca, oggi i pescatori attivi in Italia sono circa 22mila, di cui 19mila a tempo pieno. Dieci anni fa erano 30mila. La crisi del settore è evidente, ma anche ricca di potenziali nuovi orizzonti, se accompagnata da investimenti in formazione, innovazione e sostenibilità.
Anna Manca, presidente di Confcooperative Liguria e vicepresidente nazionale dell’associazione, spiega come il comparto ittico italiano, che vale circa un miliardo e mezzo di euro, sia in difficoltà per effetto del cambiamento climatico e dell’assenza di giovani. Il potenziale di pesca è calato del 30% nell’ultimo decennio, con una perdita stimata di circa due miliardi di euro. Tuttavia, la crisi può trasformarsi in opportunità, se si investe nella conoscenza della stagionalità del mare, nella valorizzazione delle specie meno conosciute, e soprattutto nella capacità imprenditoriale dei pescatori. Secondo Manca, serve anche uno sforzo collettivo: l’80% degli occupati del settore lavora in cooperative, una struttura che permette di ottimizzare le risorse e affrontare in modo più solido la concorrenza dei mercati esteri, spesso soggetti a regolamenti meno stringenti rispetto a quelli europei.
Sul fronte istituzionale, Patrizio La Pietra, sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura, ha ribadito il sostegno del governo al settore, sottolineando come Slow Fish sia una vetrina importante per ribadire il ruolo strategico della pesca nell’economia e nella cultura italiana. La presenza del Masaf all’edizione 2025, con uno spazio di degustazione aperto ai visitatori, testimonia un impegno concreto nella promozione della pesca sostenibile, tema centrale anche durante il G7 Agricoltura e Pesca a Siracusa.
Per Slow Food Italia, la sostenibilità del mare è la vera priorità. Barbara Nappini, presidente dell’associazione, ricorda che senza un ecosistema marino sano non può esistere la pesca. La rigenerazione del mare non è solo una questione ambientale, ma anche economica: oltre la metà del PIL globale, secondo il World Economic Forum, dipende direttamente dalla natura. Recuperare la biodiversità significa quindi anche creare nuovi posti di lavoro e rilanciare l’economia costiera, in un’ottica profondamente connessa al messaggio della Laudato Sì’ di Papa Francesco: tutto è connesso.
Ma c’è un altro dato che fa riflettere. La maggior parte della flotta italiana – il 71% – pratica pesca artigianale: imbarcazioni piccole, sotto i 12 metri, che operano entro 20 miglia dalla costa. Tuttavia, la quota più alta di catture e di valore economico è generata dalla pesca a strascico e dai rapidi, metodi invasivi che distruggono i fondali e minacciano la biodiversità. Per questo Slow Food ha da tempo avviato una rete di Presìdi che tutelano la pesca artigianale, non solo per la qualità del pescato, ma anche per l’equilibrio dell’ecosistema marino: dalla Liguria alla Sicilia, dalla Toscana alla Puglia, fino al lago Trasimeno.
Eppure, i pescatori artigianali sono sempre meno, e la loro età media supera i cinquant’anni. Come racconta Gaetano Urzì, portavoce del Presidio Slow Food della masculina da magghia, nel Golfo di Catania, il mestiere del pescatore è in via d’estinzione, anche a causa di normative che hanno incentivato la rottamazione delle barche. A ciò si aggiungono fenomeni climatici che stanno modificando la composizione delle specie nei nostri mari, favorendo le cosiddette “specie aliene” a scapito di quelle autoctone.
Il futuro, allora, potrebbe essere polivalente. Secondo Urzì, il pescatore non può più limitarsi a uscire in mare e vendere il pescato: deve diventare anche guida turistica, custode del territorio, educatore ambientale. Un esempio concreto è quello di Barbara Orlando, pescatora del Presidio Slow Food di Porto Cesareo. Con il marito gestisce una cooperativa che unisce pesca professionale e pescaturismo. Nei mesi estivi porta i turisti in barca, li guida nella pesca, e poi cucina con loro quanto pescato. Un’esperienza che offre ai visitatori un contatto autentico con il mare e garantisce ai pescatori una fonte di reddito essenziale: «Nel bilancio familiare il pescaturismo pesa per oltre il 60%» racconta Barbara, che prima di approdare al mare era parrucchiera. Il suo messaggio è chiaro: anche chi non nasce pescatore può scegliere questa strada, se supportato e motivato.
A Slow Fish 2025, il futuro della pesca si scrive tra consapevolezza ambientale, resilienza economica e spirito di comunità. Perché solo se il mare torna a vivere, anche chi dal mare trae sostentamento potrà continuare a farlo.
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