In fuga da Nazareth, al Museo dei Cappucini di Genova, profughi di ieri e di oggi nella Mostra di Massimiliano Ungarelli
In fuga da Nazareth, al Museo dei Cappucini di Genova, inaugurazione 18 marzo 2022, ore 15.30. Dal 19 marzo 2022 al 12 giugno 2022. dal giovedì alla domenica 15.00 – 18.30. Mattino, gruppi e scolaresche su appuntamento.
La mostra in breve
Venti tavole, venti immagini, venti parole per un solo concetto: dalla DECISIONE alla META.
Massimiliano Ungarelli è riuscito a rappresentare con straordinaria efficacia il dramma degli immigrati e dei profughi del nostro tempo. L’idea è nata dalla collaborazione di due fratelli: uno è un frate cappuccino, l’altro è un pittore.
Il progetto si propone di dare i volti alla famiglia di Nazareth utilizzando foto di veri profughi, perseguitati e poveri del nostro tempo, veri padri e madri che si accompagnano sempre con i propri figli, l’unica reale ricchezza che possiedono. Questi volti sono tratti da persone che “prestano” il volto alla Sacra Famiglia di Nazareth, anch’essa costretta, all’interno della propria vicenda personale, all’esilio in terra straniera. Volti che rileggono una storia passata, che si attualizza nei passi, nei gesti, negli occhi, di moderni profughi.
“Gli esodi drammatici dei rifugiati sono una esperienza che Gesù Cristo stesso provò, assieme ai suoi genitori, all’inizio della propria vita terrena, quando dovettero fuggire in Egitto per salvarsi dalla furia omicida di Erode”.
Papa Francesco, “Luci sulle strade della speranza”, 17 gennaio 2019
Fino al prossimo 12 giugno al Museo dei Beni Cappuccini è possibile visitare la mostra “In fuga da Nazareth – Profughi di ieri e di oggi”.
Si tratta di una mostra di arte contemporanea che unisce pittura, fotografia, poesia e installazioni video per raccontare il dramma dei profughi e rifugiati del nostro tempo. Dalla “Fuga in Egitto” di Gesù alla fuga per la vita.
La stessa che si ripete quotidianamente e crudelmente tra i profughi sparsi nel mondo, come ci testimoniano anche gli avvenimenti di questi giorni nella vicina Ucraina, dove milioni di persone sono costrette a fuggire da terre, le loro terre, divenute teatro di una guerra inaccettabile.
Il proposito della mostra è quello di scuotere le nostre coscienze e presentarci il dramma umanitario in atto in tutto il mondo; vuole essere spunto di riflessione sul tema, attualissimo, dei rifugiati e profughi del nostro tempo.
Nel lavoro di Massimiliano Ungarelli, lo sguardo implicato e commosso dell’artista si posa lieve sul dramma della fuga: così capiamo che l’essere profugo è condizione esistenziale, che supera il tempo e lo spazio. Chiama in causa chi guarda le sue opere, lo mette a disagio, perché sa che ciò che sta contemplando non è fantasia, ma realtà.
Il progetto “In fuga da Nazareth” non chiede di osservare un mondo sconosciuto, ma quello dei paraggi, dell’ordinario, dell’intorno. Ci racconta di un “prossimo”, nell’accezione di “vicino”, che barcolla, soffre, scappa, annega, cade a un metro da noi. E tutto questo attraverso la semplicità e povertà dei soggetti e la scelta dei materiali utilizzati per rappresentarli, perché nulla sottragga centralità al ruolo dei protagonisti, i quali narrano un presente complesso e non più censurabile.
LA MOSTRA NEL DETTAGLIO PER ULTERIORI INFORMAZIONI
Fuga in Egitto di Gesù con la sua famiglia, fuga per la vita. La stessa che si ripete quotidianamente e crudelmente tra i profughi sparsi nel mondo, come ci testimoniano anche gli avvenimenti di questi giorni nella vicina Ucraina, dove milioni di persone sono costrette a fuggire da terre, le loro terre, divenute teatro di una guerra inaccettabile.
Il proposito della mostra è quello di scuotere le nostre coscienze e presentarci il dramma umanitario in atto in tutto il mondo; vuole essere spunto di riflessione sul tema, attualissimo, dei rifugiati e profughi del nostro tempo.
Spesso dimentichiamo che Dio stesso fu profugo, come ci raccontano le letture dell’Avvento: Gesù, il figlio di Dio, fu salvato dai genitori che si rifugiarono in Egitto per sfuggire alla furia omicida del Re Erode. Così, Giuseppe, Maria e Gesù stesso divennero di fatto scarto, “pietra di inciampo”, i profughi più famosi della storia umana.
Ed è questo il nucleo che vuole mettere a fuoco l’intera opera. A quell’azione così naturale e allo stesso tempo disperata e primitiva (nulla, infatti, conta più al mondo per dei genitori se non salvare il proprio figlio) a quell’azione dobbiamo la datazione della storia: “avanti Cristo” e “dopo Cristo”.
La loro non fu una scelta facile, come quella di qualunque profugo al mondo. Abbandonare la propria terra comporta perdere tutto, diventare poveri, perdere riferimenti culturali, ogni certezza, dalla propria lingua di origine, alla casa, i suoni e gli odori di cui ci si è nutriti. Solo la speranza di sopravvivere ad una morte certa, può spingerci a tanto e fu così per la famiglia di Nazareth ed è così per tutte quelle famiglie che tuttora fuggono dalla propria terra.
Nel lavoro di Massimiliano Ungarelli, lo sguardo implicato e commosso dell’artista si posa lieve sul dramma della fuga: così capiamo che l’essere profugo è condizione esistenziale, che supera il tempo e lo spazio. Chiama in causa chi guarda le sue opere, lo mette a disagio, perché sa che ciò che sta contemplando non è fantasia, ma realtà.
Il progetto “In fuga da Nazareth” non chiede di osservare un mondo sconosciuto, ma quello dei paraggi, dell’ordinario, dell’intorno. Ci racconta di un “prossimo”, nell’accezione di “vicino”, che barcolla, soffre, scappa, annega, cade a un metro da noi. E tutto questo attraverso la semplicità e povertà dei soggetti e la scelta dei materiali utilizzati per rappresentarli, perché nulla sottragga centralità al ruolo dei protagonisti, i quali narrano un presente complesso e non più censurabile.
“In fuga da Nazareth” diventa motivo di rilettura in chiave artistica di una storia passata – quella della Santa famiglia di Nazareth- che si attualizza nei passi, nei gesti e negli occhi di moderni “poveri cristi”, profughi di ieri e di oggi. Una rilettura – mai imposta ma coraggiosamente offerta – alla luce di quella chiamata universale alla santità, che viene continuamente richiamata nelle opere dal denominatore comune delle aureole, presente in tutti i quadri e che permette il transfert sulla Sacra Famiglia. Ci si trova così dinnanzi ad un “quadro non quadro”, che diventa pagina di storia in grado di aprire brecce sul presente spazio-tempo.
Le immagini della mostra raccontano vite in cammino verso una speranza, evocano sofferenze e desideri di riscatto, memorie di dolore, denunce di ingiustizia…
In questi volti graffiati e feriti da un legno di scarto, siamo invitati a trovare almeno una scheggia di noi, nella consapevolezza che fa ripartire il viaggio: Dio non fa scarti, ci recupera, ci riscatta, ci riabilita.
I volti della famiglia di Nazareth, ad eccezione del primo quadro che ha dato seguito all’intero progetto, sono estratti volutamente da foto di veri profughi, perseguitati e poveri del nostro tempo. Persone che, nonostante il male che subiscono, manifestano la forza, la bellezza umana e la sacralità della vita.
L’intero lavoro è sviluppato su due aspetti fondamentali: lo scarto e la povertà. Temi sostenuti dalla scelta dei materiali e dalla tecnica utilizzata. Questa tecnica pittorica utilizza pannelli in legno di recupero capaci di conferire alle opere tratti particolari sui volti rappresentati, profondamente segnati, quasi “feriti”. Perché da scarto e povertà può nascere bellezza. Bellezza certamente fuori dai canoni estetici imposti dalla società dell’immagine in cui viviamo. Bellezza imperfetta, come la superficie ferita dei pannelli utilizzati, unici e irripetibili per le loro cicatrici, perfetta incarnazione metaforica di cos’è realmente la vita, di cos’è l’uomo e l’intera umanità.
L’inaspettata sorpresa di Papa Francesco
Dal catalogo della mostra raccogliamo l’inaspettata sorpresa di papa Francesco: “L’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappa di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri. […] Quando si rinnega il desiderio di comunione, inscritto nel cuore dell’uomo e nella storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia umana, che già si fa strada tra mille avversità. La settimana scorsa, un artista torinese mi ha inviato un quadretto, […] sulla fuga in Egitto e c’era un San Giuseppe, non così tranquillo come siamo abituati a vederlo nelle immaginette, ma un San Giuseppe con l’atteggiamento di un rifugiato siriano, col bambino sulle spalle: fa vedere il dolore, senza addolcire il dramma di Gesù Bambino quando dovette fuggire in Egitto. È quello che sta succedendo oggi. Il Mediterraneo ha una vocazione peculiare in tal senso: è il mare del meticciato, «culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione». Le purezze delle razze non hanno futuro”.
Dal discorso di Papa Francesco ai Vescovi del Mediterraneo, Bari 23 febbraio 2020.