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Il Festival di Sanremo pensa “giovane”?

Da sinistra a destra: Marco Canova, Giancarlo Manco, Dario Salvatori e Iuliana Ierugan

Il Festival della Canzone Italiana compie quest’anno sessantotto anni. Ma è sufficientemente vicino al mondo dei giovani? Questo uno dei tanti temi che puntualmente si ripresentano ogni anno nei vari dibattiti e “talk show” radio-televisivi. Secondo alcune statistiche, infatti, i giovani di oggi non si appassionano a questa storica kermesse canora come facevano le nuove generazioni di qualche anno fa. Le ragioni di tutto ciò vengono individuate, secondo alcuni, nella totale assenza in concorso di alcuni generi musicali come il “rap”; secondo altri, nella “media anagrafica” dei partecipanti alla categoria “big”, ancora troppo alta.

A parere di chi scrive, le ragioni andrebbero trovate altrove. I gusti musicali dei giovani non possono essere associati ad un solo genere musicale, né tanto meno ad una questione di età; ma forse si dovrebbe lavorare di più sul fronte della comunicazione, che sta comunque evolvendosi sempre più verso un linguaggio più “social”. L’hashtag #Sanremo2018 sta diventando già un “tormentone” mediatico. Così come quello lanciato da Michelle Hunziker #iosonoqui che, accompagnato da un fiore di Sanremo, è già diventato il nuovo ambasciatore di un tema importante e purtroppo sempre attuale: la lotta alla violenza contro le donne. Non a caso, il fiore all’occhiello indossato dai presentatori e dalla maggior parte dei cantanti è stato il “fil rouge” della prima serata dell’edizione firmata Claudio Baglioni.

Ma focalizzandoci sui giovani talenti in gara (sia nella categoria “big” che “giovani”) un’altra domanda sorge spontanea. Sanremo pensa al futuro? Lo abbiamo chiesto al critico musicale Dario Salvatori.

D.: Qual è il rapporto tra il Festival e i talenti di nuova generazione?

R.: Dal mio punto di vista, è sempre stato un rapporto centrale, privilegiato e virtuoso. C’è stato un momento nella storia della canzone italiana in cui tutti i giovani uscivano dal Festival della Canzone. Anche per l’abbinamento con altri concorsi canori. Penso a Castrocaro che fungeva un po’ da festival propedeutico i cui vincitori accedevano di diritto a Sanremo. Ora i vincitori accedono per altre regole, conseguenza del fatto che lo “scouting” si è notevolmente velocizzato, modernizzato e ha preso altre strade. Il Festival resta comunque una vetrina molto importante quindi il successo continua. Mentre in passato un “nuovo cantante” era solo un minorenne, oggigiorno il concetto di “giovane” è cambiato. E lo possiamo associare per esempio a Francesco Gabbani, vincitore super trentenne dell’edizione 2017 del Festival di Sanremo. Questo è un aspetto incoraggiante, secondo la mia opinione.

D.: Tra i nuovi talenti di quest’anno chi farà parlare di sé, a suo parere?

R.: Mirkoeilcane (Mirko Mancini, ndr) mi piace molto perché è coraggioso e presenta una canzone il cui testo potrebbe candidarsi al premio della critica e poi abbiamo un Baglioni in gara, Lorenzo Baglioni, un artista interessante e molto eccentrico, che non ha alcuna parentela con il direttore artistico.

D.: il nome di Sanremo, associato al Festival della Canzone, rappresenta da sempre un “must” conosciuto a livello internazionale, sinonimo di Musica Italiana, ritiene che creare un marchio “Sanremo” possa contribuire a tutelare l’autenticità di questa celebre kermesse canora rispetto alle concorrenti straniere?

R.: “Il Festival di Sanremo è un format che ci invidia tutto il mondo. Hanno provato a replicarlo oltralpe ma non ci sono riusciti. Proprio per questo non andrebbe snaturalizzato. Ce lo dovremmo tenere ben stretto. Dal mio punto di vista, invece, c’è un crescente tentativo di proteggere i cantanti in maniera esagerata. Io manterrei la competizione tradizionale mantenendo l’eliminazione. Anzi arrivo a dire che esaspererei la gara, anche a rischio di fare selezione fin dall’inizio!

Maurizio Abbati